Il 30 novembre si aprirà a Dubai, negli Emirati Arabi, la ventottesima Conferenza delle Nazioni Unite sul clima, la COP28. In questi mesi, come Italian Climate Network, stiamo cercando di attirare l’attenzione dei decisori politici e dell’opinione pubblica sul cosiddetto Loss&Damage, il tema delle perdite e dei danni legati ai disastri climatici, con una campagna per fare fronte comune nei confronti delle istituzioni e delle figure politiche affinché garantiscano la rapida attivazione del fondo internazionale per “Perdite e Danni”.
Nel 2022, a COP27, i Paesi del Sud del mondo sono riusciti a ottenere la decisione di creare un Fondo a compensazione di Perdite e Danni, risultato inseguito da almeno trent’anni dal gruppo G77 dei Paesi in via di sviluppo e dalla società civile globale. La COP africana ha sbloccato il sistema multilaterale dal punto di vista delle compensazioni per responsabilità storiche, tema tabù per decenni, ma ai Negoziati Intermedi di Bonn a giugno si è vista l’assenza di discussioni concrete sul potenziamento degli strumenti solidali di finanza climatica. Al momento, quindi, si è ancora molto lontani dal veder comparire una solidarietà finanziaria vera e strutturata a livello internazionale.
Non è facile dirimere alcune domande difficili e scomode. Se le perdite e i danni sono attribuibili all’estremizzazione climatica, chi dovrebbe pagare? Chi sono, numericamente, nei fatti, i principali responsabili del riscaldamento globale? Chi ha emesso più gas serra dalla rivoluzione industriale? Esiste una risposta, anche abbastanza facile, per tutte e tre queste domande, ma per molti Paesi è troppo difficile da digerire – soprattutto per quelli che dovrebbero iniziare a far partire i primi “bonifici climatici”.
Anche nel caso, infatti, in cui si riuscisse a quantificare le perdite e i danni attribuibili al riscaldamento globale da indennizzare, secondo quali regole, quali schemi assicurativi o di rimborso si potrà risarcire l’imprenditore, il contadino, la famiglia colpita, basandosi su finanza pubblica mobilitata come “finanza climatica”? Se lo chiedono da anni in Mozambico, in Pakistan, in varie parti del mondo, all’Onu, alle conferenze internazionali. Oggi siamo arrivati a chiedercelo anche nella nostra fragilissima Italia con eventi calamitosi estremi quali abbiamo vissuto negli scorsi mesi.
Tuttavia, quello dell’emergenza climatica continua a rimanere agli occhi dell’opinione pubblica un problema “troppo alto”, troppo lontano, troppo grande per toccare le corde dell’individualità, della quotidianità, nonostante tutto. Perché in questo contesto di scarsa (in)formazione continuiamo a fare confusione tra le tante definizioni e numerosi termini spesso percepiti come troppo tecnici, tanto da confondere e allontanare dal problema.
Nelle politiche per il clima si parla di mitigazione per indicare tutte le politiche di riduzione delle emissioni dei gas capaci di alterare la temperatura globale. Si parla contestualmente di adattamento per indicare tutte quelle politiche e quei progetti che aiutano le comunità locali a prepararsi nella maniera più sicura possibile al clima che cambia. Sono azioni di adattamento quelle tese a ridurre la vulnerabilità di un territorio e delle persone che lo abitano, riducendo e gestendo il rischio.
Mitigazione, adattamento e perdite e danni possono essere letti secondo una sequenza logica: più agiremo in mitigazione, meno gravosa sarà la necessità di agire in adattamento in futuro. Perdite e danni occorrono quando le azioni di mitigazione degli anni precedenti non sono state sufficienti ad evitare l’impatto dell’estremizzazione climatica, e le azioni di adattamento non sono state sufficienti a evitare perdite e danni a fronte dell’accadimento di fenomeni estremi, dove per fenomeni estremi si intendono fenomeni meteorologici calamitosi di particolare intensità. Sembra semplice, eppure per molti governi ancora non lo è.
L’Accordo di Parigi del 2015, sul quale si basano le politiche climatiche di tutti i Paesi del mondo, dice all’articolo 8 che i Paesi “riconoscono l’importanza di evitare, minimizzare e affrontare perdite e danni associati agli effetti avversi dei cambiamenti climatici”. Da quella formulazione così vaga, ma così importante, dal 2015 la politica ha fatto passi avanti e siamo arrivati, nel 2022, all’adozione della decisione-chiave della COP27, che prevede il lancio di un fondo multilaterale (un’entità gestita da tutti i Paesi che raccoglie e poi eroga risorse secondo criteri condivisi) proprio sulle compensazioni per perdite e danni per i Paesi più colpiti. Tra qualche settimana, a COP28, vedremo se questo Fondo diventerà realtà, e come.