La gravidanza per altri è uno degli argomenti più delicati. Ad aprire il dibattito è una donna che, dice, da anni si batte perché resti il divieto: “Faccio una domanda al gruppo: il desiderio di avere figli può essere un diritto?”. Intorno al tavolo ci sono quattro studenti universitari, un’avvocata, un tecnico e un ingegnere in pensione, un fotografo, un ex dirigente e una dipendente comunale. I toni si scaldano: la maggioranza chiede una regolamentazione. Ma quando si va nel dettaglio, le sfumature crescono: c’è chi è d’accordo perché sia dato un compenso e chi invece chiede che sia accettata solo quella solidale. Chi vuole il divieto per le famiglie omogenitoriali, chi darebbe la possibilità a tutte e tutti. “Da qui si esce solo con una mediazione”, interviene la facilitatrice. “Ci ascoltiamo e buttiamo giù delle idee”. Un’impresa titanica: trovare un punto di incontro su uno dei temi che dilania politica, religione e associazionismo. E farlo tenendo conto delle posizioni di ognuno. A essere messe alla prova, le persone che hanno partecipato alla prima assemblea civica con persone estratte a sorte: un esperimento, difficile, ma che mentre in Europa si cerca sempre più di istituzionalizzare, in Italia non era mai stato tentato. Il primo progetto italiano lo ha messo in piedi l’Associazione Coscioni con Eumans, Prossima Democrazia e il patrocinio dell’università Statale di Milano. Il processo è durato due giorni: in una prima fase si è lavorato sulla formazione con esperti intervenuti per chiarire i temi, la seconda ha visto la divisione per tavoli e da lì sono state prodotte alcune raccomandazioni. Al centro, il tema della genitorialità sociale: quindi la Gpa, ma anche la fecondazione assistita, la normativa sulle adozioni e i diritti dei minori figli di coppie omosessuali.

I tavoli di lavoro sono stati il passaggio più complesso: poche ore per trovare un punto di incontro con sconosciute e sconosciuti. La prima sfida per gli organizzatori è stata quella di riuscire ad avere adesioni che fossero rappresentative della popolazione. “Abbiamo cercato di diversificare il più possibile”, spiega Francesca Re, l’avvocata responsabile del processo insieme ad Alessia Cicatelli, “mandando l’invito a diffondere l’iscrizione anche ad associazioni cattoliche. Poi abbiamo coinvolto associazioni studentesche e diverse confessioni religiose. Hanno partecipato anche sei persone di religione islamica”. Alla fine sono state estratte a sorte 152 persone: di queste 50 hanno lavorato alla scrittura delle raccomandazioni, mentre tutte potranno votarle online (i risultati saranno diffusi alla fine della prossima settimana). “Abbiamo cercato”, continua Re, “di impostare il dibattito sulla genitorialità sociale in modo corretto e informato, un approccio che purtroppo pensiamo sia mancato nel dibattito istituzionale. Ad esempio, si è tanto parlato di Gpa, ma le gestanti non sono mai state ascoltate. Qui hanno potuto parlare e dire la loro”. All’estero, dalla Francia all’Irlanda, sono le istituzioni a promuovere assemblee partecipative, in Italia il primo esperimento è nato dal basso e si rivolge a chi comanda. Scegliere tematiche così complesse e divisive, come quelle legate alla genitorialità sociale, non ha facilitato i lavori. “Noi crediamo nei cittadini e nel metodo deliberativo”, dice Re, “che non è solo partecipazione, ma è un percorso che va dall’informazione al confronto e poi alla decisione. Noi chiamiamo i cittadini perché si interessino di temi che li riguardano. Qui parliamo di famiglie che esistono davvero. E’ un metodo molto vicino a quello che fa da sempre l’Associazione Coscioni, noi diciamo: dal corpo delle persone al cuore della politica”. E se quando a parlare di assemblee estratte a sorte fu Beppe Grillo, quasi dieci anni fa, politici e giornali liquidarono la proposta, ora iniziano le spinte perché l’iniziativa venga istituzionalizzata, tanto che c’è una proposta di legge in Parlamento. Per poter fare in modo che si allarghi la partecipazione e che le decisioni abbiano un maggiore impatto, servono però strutture e fondi. “Noi avevamo 20mila euro ricevuti dall’Unione europea. In Francia ad esempio, dove è stato Macron a promuovere l’iniziativa, hanno investito quasi 2 milioni di euro. E, ad esempio, hanno potuto così pagare la giornata a chi partecipava. Un modo per far sì che anche chi lavora non sia escluso e la presenza sia aperta davvero a tutti”. Nei tavolo di lavoro, non c’è stata unanimità: un motivo di scontro, ma anche il presupposto per rendere effettivamente reale l’esperimento. Chi era in minoranza si è lamentato di essere solo e ha accusato il fatto che non tutte le posizioni fossero rappresentate. “Nei gruppi abbiamo cercato di garantire parità di genere e varietà di età”, spiega il vicepresidente di Prossima Democrazia Samuele Nannoni. “Poi, certo l’ideale sarebbe quello di poter lavorare in collaborazione con le istituzioni e avere accesso agli elenchi anagrafici o elettorali. Questo garantirebbe un maggiore coinvolgimento. Il nostro è un primo esperimento, speriamo di fare sempre meglio”.

Intanto, la platea l’hanno riempita. L’adesione c’è stata, anche solo per curiosità. Irene ha 19 anni e studia filosofia: “Ho visto i volantini in giro, dell’argomento non sapevo molto e volevo capirci meglio”, dice. “Per me è importante che le istituzioni ascoltino le questioni che riguardano le persone dal punto di vista dei legami intimi, delle relazioni e della sessualità. Sono temi che dividono molto e voglio capirli meglio. Credo che sia il punto della democrazia: trovare un accordo nel disaccordo”. Antonio ha 24 anni ed è uno studente di Giurisprudenza. “Assemblee come queste”, dice, “sono l’unico modo per coinvolgere i cittadini su tematiche che poi il legislatore dovrebbe regolamentare. Penso che andrebbero incentivate. Potrebbe essere anche un modo per riavvicinare i giovani alla politica che a tratti mi sembrano disinteressati. Anche perché con il cambio generazionale, ci sono temi che i ragazzi e le ragazze vedono in maniera completamente diversa dalle vecchie generazioni”. E nell’assemblea non c’erano solo giovani o studenti. Seduto tra le ultime file, a osservare, c’era anche Stefano, pensionato di 80 anni. “Io sono convinto che tutto quello che ci circonda va approfondito. Poi si può condividere o meno, ma va fatto. Negli anni i modi di esprimere la propria opinione sono cambiati. Sperimentare forme nuove di partecipazione è un’occasione, non ragionarci sopra sarebbe un peccato”. Poco dietro, c’è Isabella: si occupa di consulenza in campo pedagogico ed educativo e ha 69 anni. “Ho partecipato per interesse personale. Quella che abbiamo visto qui è un’utopia, ma è un tentativo molto intelligente. Penso che una delle difficoltà sia accettare la mediazione: è fondamentale. L’assemblea civica è una palestra per tutti, però bisogna imparare a discutere, a confliggere. A farlo in maniera intelligente. Uno dei primi passi per essere cittadini consapevoli è imparare ad ascoltare gli altri”. Prima di salutarsi, c’è il voto in plenaria delle raccomandazioni emerse dai gruppi: ognuno ha un cartoncino giallo, verde o rosso per esprimere la propria opinione. Anche qui, c’è chi dissente. “Non erano così semplificati i nostri punti”, dice una ragazza. Interviene la donna che ha contestato il tavolo sulla Gpa: “La mia posizione era diversa”. Le ascoltano, i testi vengono aggiustati. Poi però si vota. E la parola finale tocca alla maggioranza. “La democrazia è faticosa”, dicono dal palco. “Ma vedervi discutere e confrontarvi è stato bello e importante. Segno che ce n’era davvero bisogno”.

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