“Noi siamo medici, ma prima di tutto siamo persone. Lavorare nel pubblico vuol dire smettere di avere una vita, soprattutto in alcune specialità dove le carenze di organico obbligano a fare doppi o tripli turni, in reparti con la metà degli infermieri che servirebbero. Quando un giovane medico si trova a dover fare una scelta che vale per la vita, pensa a tutto questo. E volendo essere felici non si può scegliere di lavorare nel pubblico”. A dirlo a ilfattoquotidiano.it è Antonio Cucinella, presidente di Giovani Medici per l’Italia. È stata la sua associazione, insieme ad Anaao Giovani e Associazione Liberi Specializzandi (Als), a lanciare l’allarme: quest’anno una borsa di specializzazione medica su quattro rischia di non venire assegnata. A oggi, infatti, nelle scuole di formazione specialistica sono stati occupati solo 11.688 posti dei 16.165 totali. Il dato più preoccupante riguarda la medicina d’emergenza-urgenza, una delle specialità in cui c’è maggiore carenza di camici bianchi: su 855 contratti stanziati, ne sono stati assegnati solo 266 (il 31%). Quattro scuole sono rimaste senza alcuna assegnazione, tra cui La Sapienza di Roma – Umberto I e Milano San Raffaele. Destino simile hanno avuto molte delle altre specializzazioni che offrono pochi sbocchi nella sanità privata. Nessuno vuole più lavorare negli ospedali pubblici, a queste condizioni. Secondo le associazioni, il ministero dell’Università di Anna Maria Bernini non ha trovato delle valide soluzioni per ridistribuire i candidati nelle diverse scuole, per rendere più appetibili percorsi professionali fondamentali per la collettività. “Sono stati commessi gravi errori di programmazione – commenta a ilfattoquotidiano.it Giammaria Liuzzi, responsabile nazionale Anaao Giovani -. Non possiamo formare più chirurghi plastici che medici urgentisti, ne va della sopravvivenza del nostro Sistema sanitario nazionale. Il dato dei medici di pronto soccorso è vergognoso. Il 70% delle borse non sono state assegnate. In due anni soltanto 600 specializzandi hanno intrapreso questo percorso in Italia. Parliamo di uno specialista ogni 100mila persone. Un dato molto preoccupante”.

Prima del Covid, per anni il numero delle borse messe a bando è stato molto più basso rispetto a quello dei candidati alle scuole di specializzazione. Questo ha fatto sì che il personale medico specializzato sia progressivamente diminuito, comportando un aumento del carico di lavoro, e un peggioramento delle condizioni di vita, per i professionisti dei diversi reparti ospedalieri del Ssn. Dopo il disastro della pandemia, si è deciso di correre ai ripari. I contratti messi a bando sono aumentati, anno dopo anno, fino a superare addirittura il numero di concorrenti, come è avvenuto quest’anno: i 14.036 candidati del 2023 hanno a disposizione 14.579 borse statali, più 1.080 finanziate dalle Regioni. Se pensiamo che nel 2022, con quasi 15mila candidati e 13mila contratti statali disponibili, le borse non assegnate sono state oltre 2mila, non stupisce osservare come quest’anno se ne siano perse circa il doppio. A spiegarlo a ilfattoquotidiano.it è Massimo Minerva, presidente di Als, che da anni si occupa di raccogliere e analizzare i dati riguardanti le scuole di specializzazione in Italia: “I dati preoccupanti di quest’anno erano previsti e prevedibili. Bastava osservare i numeri e fare dei calcoli, ma il ministero dell’Università non lo fa per evidente incompetenza”, commenta Minerva. Analizzando le iscrizioni, è chiaro che alcune specializzazioni siano meno desiderate di altre dai giovani medici. “Il 70% dei primi 1000 concorrenti della graduatoria sceglie solo sette specializzazioni, su 51 disponibili – spiega Minerva -. Ma è stato deciso di rispondere alla carenza di alcuni precisi specialisti aumentando indiscriminatamente il numero delle borse, per tutti i corsi, non cercando di ridistribuire le scelte. Il risultato è che avremo più oculisti e più chirurghi plastici, ma meno medici del pronto soccorso. Hanno aumentato i posti anche nelle scuole di specializzazione dove l’anno scorso non si è iscritto nessuno. È una strategia ottusa. Che senso ha portare le borse da 32 a 48 in un corso che nel 2022 è stato scelto solo da otto medici?”.

La mancanza di personale, soprattutto in reparti come quello del pronto soccorso, innesca una reazione a catena che porta al peggioramento delle condizioni lavorative dei professionisti e alla loro conseguente fuga dagli ospedali. Il che peggiora ulteriormente la situazione di chi rimane, perpetuando il circolo vizioso. Oltre ai medici e al personale sanitario, a farne le spese sono i pazienti, costretti ad assistere a un deterioramento dello standard delle cure. “Almeno sulla specializzazione di medicina d’emergenza urgenza è necessario intervenire subito, per garantire che la prima frontiera del Ssn non crolli”, spiega Liuzzi. Il responsabile di Anaao Giovani propone di riformare il sistema delle specializzazioni, introducendo i contratti di formazione-lavoro. “Lo specializzando deve essere un lavoratore inquadrato nel contratto collettivo nazionale. Superare lo status quo desiderato dal mondo accademico che li vuole ancora sotto le università, con molti doveri e pochi diritti. Sono professionisti qualificati che si specializzano, al pari dei loro colleghi europei. Devono avere competenze crescenti, tutele crescenti e anche stipendi crescenti”, prosegue Liuzzi. “La parte teorica deve restare in capo alle università, ma la parte pratica deve essere fatta negli ospedali del territorio. Non c’è motivo per cui uno specializzando di medicina d’emergenza si debba formare solo nei policlinici universitari. Devono stare nei reparti ospedalieri, ruotare e formarsi. Così riempiremmo i pronto soccorso, spenderemmo meno soldi per i gettonisti e avremmo una salute migliore”, continua. Secondo Liuzzi, agendo subito, i primi risultati sarebbero già raggiungibili in due o tre anni: “Spendiamo milioni di euro per i gettonisti, i fondi ci sarebbero”.

Le associazioni che rappresentano studenti, camici grigi e specializzandi sono già scese in piazza il 25 settembre scorso, ma non sono state ascoltate. Il passo successivo è quello dello sciopero, ma si sta facendo di tutto per evitarlo. “Se noi incrociamo le braccia, muoiono le persone – spiega Liuzzi -. Basta vedere quanto sia aumentata la mortalità nel Regno Unito durante gli scioperi di quest’anno dei giovani medici. Noi questo non lo vogliamo assolutamente. Cercheremo delle forme alternative, ma non possiamo nemmeno abbassare la testa”, conclude. Anche per Cucinella è fondamentale continuare la protesta: “Il 25 settembre abbiamo manifestato per chiedere al ministero di mettere almeno una toppa nel breve periodo alla situazione che hanno creato. È fondamentale che agiscano subito, rimandando la scadenza della presa di servizio, prevista per il primo di novembre, e aumentando gli scaglioni di assegnazione. Sono gli unici modi per cercare di evitare la perdita di altre borse di studio”. Visti i ritardi accumulati fino a ora nelle procedure di concorso, il rischio è che senza la proroga molti possibili specializzandi non facciano in tempo a immatricolarsi o a trovare un alloggio nella città in cui hanno vinto la borsa. “Ci chiedono di trovare una casa in due giorni, magari a Milano o in un’altra grande città dove è molto difficile trovare un affitto. Non c’è comprensione da parte del ministero. Ci è stato risposto che potevamo risolvere andando a dormire in un B&B. Come se avessimo davvero questa possibilità economica, oltretutto”, commenta Cucinella. Tolte le tasse universitarie, la quota di iscrizione all’ordine dei medici e i costi dell’Enpam, la paga netta di uno specializzando è di circa 1200-1300 euro al mese. E, a volte, documentano le associazioni, sono costretti anche a stare in ospedale 307 ore al mese, timbrate, come successo in una scuola di ginecologia. “Siamo l’unico stato in Europa in cui gli specializzandi vivono una condizione così precaria”, dice Cucinella. E conclude: “È un limbo tra la condizione di lavoratore e quella di studente. Non possiamo chiedere mutui o finanziamenti, perché percepiamo borse e non stipendi. Siamo minacciati con gli esami di passaggio anno e quindi costretti a rimanere ben oltre il nostro orario. A tappare i buchi. Siamo la forza lavoro a basso costo che manda avanti interi reparti, e ci trattano come schiavi”.

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