Su oltre 1.400 aziende che operano lungo tutta la filiera dell’industria del carbone solo 71, quindi il 5% – hanno fissato date per l’eliminazione graduale della fonte fossile più inquinante, mentre 577 stanno ancora sviluppando nuova capacità. E così, nonostante la chiusura delle centrali elettriche a carbone in alcune aree del mondo, il parco energetico globale alimentato con questo combustibile fossile è cresciuto di 186 gigawatt netti dalla firma dell’Accordo di Parigi, nel 2015. Più della potenza delle centrali elettriche a carbone in funzione in Germania, Giappone, Corea del Sud e Indonesia messe insieme. A un mese dal vertice delle Nazioni Unite sul clima a New York, Urgewald e oltre 40 ong pubblicano la ‘Global Coal Exit List’ che, per il 2023, fornisce informazioni dettagliate su oltre 1.400 aziende del settore. “I nostri dati forniscono un quadro generale desolante”, ha spiegato Heffa Schücking, amministratore delegato di Urgewald.
La capacità elettrica a carbone rischia di aumentare del 25% – Secondo la ricerca della Ong, le aziende stanno ancora pianificando di sviluppare ulteriori 516 gigawatt di nuova capacità elettrica alimentata a carbone. Se questi progetti venissero realizzati, l’attuale capacità elettrica installata a carbone a livello mondiale aumenterebbe del 25%. Due terzi di questa nuova capacità sono previsti in Cina, Paese che ha intensificato i suoi piani dal 2022, quando la siccità ha ridotto la produzione di energia idroelettrica e le ondate di caldo da record hanno aumentato la domanda di elettricità.
Nuova capacità in Cina, ma investimenti a stelle e strisce – Se otto dei dieci maggiori sviluppatori di energia a carbone del mondo sono aziende energetiche statali cinesi, al contrario gli investitori sono soprattutto statunitensi. Sono 96, guidati dalle società BlackRock e Vanguard, e rappresentano il 26% degli investimenti istituzionali nelle compagnie cinesi del carbone. Con 1,68 miliardi di dollari, BlackRock è il più grande investitore istituzionale al mondo in queste società, mentre Vanguard è il quarto con 909 milioni di dollari.
L’India al centro del boom dell’elettricità a carbone – Nel resto del mondo, i piani per la capacità di nuove centrali elettriche alimentate a carbone sono diminuiti da 222 a 187 GW. Dei 39 paesi in cui devono ancora essere costruite nuove centrali elettriche a carbone, al primo posto figurano l’India (72 GW), l’Indonesia (21 GW), il Vietnam (14 GW), la Russia (12 GW) e il Bangladesh (10 GW). “Al centro del boom dell’estrazione del carbone c’è l’India, dove la produzione di carbone ha raggiunto lo scorso anno il massimo storico di 893 milioni di tonnellate. Entro il 2030 si prevede che raggiungerà 1,5 miliardi di tonnellate all’anno”, spiega la ong. Per raggiungere questo obiettivo, dal 2020 il governo ha messo all’asta 92 nuove concessioni per l’estrazione del carbone, altre centinaia sono in cantiere. L’Indonesia, invece, ha una capacità elettrica alimentata a carbone di oltre 45 GW. L’inquinamento provocato dalle centrali elettriche a carbone del Paese ha causato circa 10.500 morti premature e 7,4 miliardi di dollari di costi sanitari nel 2022.
Anche le promesse non fanno i conti con la crisi climatica – Così, la produzione globale di carbone termico ha raggiunto il massimo storico nel 2022, superando i 7,2 miliardi di tonnellate. “Le prospettive lasciano poche speranze di inversione di tendenza: nuove miniere di carbone sono ai blocchi di partenza in 31 Paesi” commenta Urgewald. In totale, le società analizzate nel report hanno in cantiere nuovi progetti per produrre 2,5 miliardi di tonnellate di carbone termico all’anno, che corrisponde a oltre il 35% dell’attuale produzione mondiale. E anche le poche aziende che hanno annunciato l’eliminazione graduale del carbone, spesso non fanno i conti con la crisi climatica che impone di rispettare il limite di 1,5°C di riscaldamento globale. Per farlo, “il carbone dovrà essere gradualmente eliminato entro il 2030 nei paesi Ocse ed entro il 2040 nel resto del mondo. Berkshire Hathaway Energy, tuttavia, non vuole chiudere le sue 14 centrali elettriche a carbone negli Stati Uniti prima del 2049, con 19 anni di ritardo. Un altro esempio è la Kepco sudcoreana. L’azienda vuole gestire il suo parco di centrali elettriche a carbone da 36 GW fino al 2050 e sta costruendo 4 nuove centrali elettriche a carbone in Corea del Sud, Vietnam e Indonesia. Anche le società commerciali giapponesi Marubeni e Mitsubishi, la FirstEnergy Corporation degli Stati Uniti, il principale fornitore energetico malese Tenaga Nasional e il fornitore energetico filippino Meralco non pianificano un’uscita prima del 2050. In totale, solo 41 aziende hanno fissato una data per l’eliminazione graduale del carbone che potrebbe essere considerata conforme alle disposizioni di Parigi, ma la maggior parte sostituisce il carbone con il gas. E c’è chi annuncia l’eliminazione graduale in tempi ragionevoli, ma nei fatti a cambiare è ben poco. Come nel caso della società ceca Eph, diventata uno dei maggiori emettitori di gas serra dell’Ue attraverso l’acquisizione di vecchie centrali a carbone in tutta Europa. Eph, che ha annunciato lo stop al carbone entro il 2030, “sta semplicemente esternalizzando la maggior parte delle sue centrali elettriche a carbone e tutta la produzione di lignite a una nuova società, che garantirà il funzionamento di queste centrali fino all’ultima data possibile, vale a dire il 2038”.