A voler rimanere a Gaza sono in tanti. “Voglio solo tornare a casa mia e vivere con la mia famiglia: siamo scappati dall’inferno della morte”. Ibrahim Saada, 38 anni, ha trovato rifugio insieme ai suoi familiari all’ospedale al Shifa, nel nord della striscia di Gaza, dopo che la sua casa è stata bombardata. “Viviamo una vita tragica: niente elettricità o acqua” dice, parlando con l’agenzia stampa turca Anadolu. “Vogliamo solo che la guerra finisca”. Insieme alla famiglia di Saada, sarebbero centinaia le famiglie ad aver cercato riparo nella struttura ospedaliera, ormai al collasso.

A descrivere il disastro della situazione sanitaria è anche una funzionaria delle Nazioni Unite: “Mancano i beni primari, come acqua e cibo”, riferisce Moe Mashiko, giapponese, interpellata dal quotidiano Arab News. La rappresentante delle Nazioni Unite, alla diciannovesima settimana di gravidanza, ha raccontato che nei primi sei giorni dell’attacco israeliano aveva trovato riparo nel sotterraneo di una struttura dell’Unrwa, branca delle Nazioni Unite che si occupa dei palestinesi. “Dal 13 di ottobre, mi sono dovuta muovere in un altro edificio a sud est” per scampare ai bombardamenti dell’aviazione. “I residenti di Gaza intorno agli ospedali e il personale sanitario è stato avvisato di evacuare”, spiega la cittadina giapponese. “Ma dove altro possono andare?”.

Le strutture sanitarie della Striscia sono state prese d’assalto dagli abitanti di Gaza, perché considerati luoghi sicuri. Per questo anche la famiglia di Ashraf al Barawi, 58 anni, si è diretta al complesso ospedaliero di al Shifa. “Non c’è vita qui” racconta all’agenzia Anadolu. “Ci manca tutto ciò che è necessario per vivere” spiega, seduto su di un materasso nel parcheggio dell’ospedale, dove ha trovato rifugio con sei membri della sua famiglia. “Siamo fuggiti dopo che la nostra casa è stata bombardata. Speriamo che almeno i paesi arabi ci aiutino”.

Alla domanda di soccorso palestinese hanno già risposto Egitto e Giordania. Il presidente al Sisi in conferenza stampa ha dichiarato che la guerra di Israele non è solo contro Hamas ma, ha sostenuto, “è un tentativo di spingere gli abitanti di Gaza a migrare verso l’Egitto”, in modo permanente. Anche il re di Giordania, Abdallah II, ha declinato la richiesta di aiuto: “No rifugiati in Egitto, no rifugiati in Giordania”, visto che il paese accoglie già qualche milione di palestinesi.

Ma a voler restare è Malak Hanyeh, dodici anni, anche lei rifugiata insieme alla famiglia nel parcheggio di al Shifa. “Abbiamo visto gente morire ovunque – racconta al corrispondente del quotidiano arabo al Araby el Jadeed – ma voglio solo ritornare a casa mia e ricominciare a vivere come prima”. A fare da eco alle parole della dodicenne è un altro adolescente, poco distante da lei nel piazzale, Mohammad al Mawla, di tredici anni. “Ci hanno informati di evacuare la scuola perché era a rischio di essere bombardata. Allora siamo venuti qui, sperando fosse un posto sicuro”. E conclude: “Voglio solo che questa guerra finisca e tornare a casa”.

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