Daniel Noboa, figlio 35enne di Álvaro Noboa – il re delle banane, forse l’uomo più ricco del Paese – vince in Ecuador il ballottaggio per la presidenza contro la candidata del Movimiento Revolución Ciudadana, Luisa González, il partito dell’ex presidente Rafael Correa, 52% a 48%.
Il primo turno del 20 agosto era stato funestato da violenze mai viste prima in Ecuador, culminate con l’assassinio di Fernando Villavicencio, il candidato in prima linea contro lo stato di corruzione del Paese, i cartelli di Sinaloa e del narcotraffico colombiano; autori di 4300 omicidi nel 2023, tra cui 5 politici di vari schieramenti. Villavicencio era stato anche uno dei più accesi oppositori di Correa.
La vittoria di Noboa è scaturita dalla paura; il suo programma anticrimine, basato sul collegamento con l’intelligence statunitense, è apparso più convincente all’elettore medio. Oltre al fatto che i candidati sconfitti al primo turno sono confluiti nella sua lista, paventando un ritorno di Correa, tuttora rifugiato in Belgio.
Privo di esperienza quale è, il suo programma economico rimane incentrato sul modello di libero mercato, come lo era quello del suo predecessore, il banchiere Guillermo Lasso. Il suo sarà un mandato breve: terminerà infatti nel maggio 2025, giusto per completare quello di Lasso, che ha dovuto rinunciare dopo la votazione che ha avallato l’impeachment nei suoi confronti.
Questa elezione atipica è dovuta all’assetto costituzionale ecuadoriano che prevede una procedura obbligatoria in caso di impeachment del presidente in carica da parte del Parlamento.
La “morte reciproca”
Il nome è cupo, la muerte cruzada: il presidente, se riconosciuto colpevole di impeachment, ha il potere di sciogliere l’Assemblea Nazionale (il Parlamento) e per il periodo restante del suo mandato, il popolo sarà chiamato ad eleggere un sostituto pro tempore e una nuova assemblea. Al termine della scadenza naturale del mandato precedente, saranno poi indette nuove elezioni per scegliere un candidato che governi per i quattro anni previsti dalla regola costituzionale. Da qui il termine di “morte reciproca”. Entrambe le parti in causa cessano la loro funzione: il presidente “dimissionato” e l’organismo che ha richiesto la fine del suo mandato.
In realtà, se raffrontiamo la vicenda di Lasso ad altre analoghe quali l’impeachment di Dilma Rousseff in Brasile nel 2016 – rimpiazzata dal governo pro tempore di Michel Temer – e quella nostrana relativa alle dimissioni forzate di Giuseppe Conte nel 2021 e al successivo governo tecnico di Draghi, l’Ecuador, pur con tutte le contraddizioni e la gravità della sua situazione, ha dato prova ancora una volta di essere una democrazia reale, come già aveva dimostrato Correa malgrado il fango mediatico che lo ricoprì allora. Difatti in Brasile, così come in Italia, i successori temporanei sono stati designati in seguito ad accordi interni del Parlamento, senza una consultazione popolare.
Crollo dello stato sociale
Correa con la sua personale interpretazione del socialismo andino ha ottenuto i risultati più importanti a livello sociale nella storia dell’Ecuador. Utilizzando la maggior parte dei proventi petroliferi ricavati dall’estrazione cinese per incrementare la spesa pubblica, durante i suoi due mandati il tasso di povertà è stato dimezzato, creando dei fondi assistenziali per le fasce sociali più deboli – tra cui le donne con figli a carico vittime del machismo locale – adeguando il salario minimo anno per anno, ma soprattutto creando dal nulla un welfare solido.
Per un decennio almeno, l’Ecuador è stata l’unica nazione americana a fornire un servizio sanitario pubblico efficiente e completamente gratuito anche per gli stranieri.
Per far ciò, ha dovuto attingere fondi dagli extra profitti bancari e aumentare le tasse di successione, attirandosi l’odio dei banchieri e dei ceti benestanti. Il disastroso terremoto che distrusse il Paese nel 2016 aumenta l’esposizione debitoria del governo nei confronti della Cina; una campagna diffamatoria lo costringe a lasciare il Paese, inseguito da accuse di corruzione (cadute poi nel nulla dopo un’inchiesta dell’Interpol) e da una richiesta di estradizione promossa dal suo successore Lenin Moreno.
Moreno inizia lo smantellamento del welfare, congelando anche gli adeguamenti salariali, fino alla rivolta delle etnie indigene, una minoranza agguerrita in Ecuador che mette alle strette il suo governo. Gli effetti disastrosi del crollo del sistema sanitario si rivelarono tragicamente durante la pandemia nel 2020: gli ospedali pubblici, privi del sostegno finanziario di cui avevano goduto in passato, non furono in grado di affrontare l’emergenza: molti malati di Covid morirono in casa, e per l’inadeguatezza dei servizi funebri diverse salme furono lasciate davanti all’ingresso dei nosocomi.
Moreno revocò anche l’asilo a Julian Assange, permettendone l’arresto all’interno dell’ambasciata ecuadoriana a Londra.
Conclusioni
Se la violenza efferata dei narcos fuori controllo è una novità assoluta per l’Ecuador – fino a 4 anni fa il paese sudamericano più sicuro – l’indietro tutta dei governi Moreno e Lasso sul welfare e le disuguaglianze è un film già visto. Il giovane Noboa, per la mancanza di esperienza e il poco tempo a disposizione, non potrà incidere a livello sociale, anche perché il budget governativo sarà investito soprattutto sulla sicurezza. Tra l’altro la Ong Human Right Watch ha nel mirino proprio la società del padre, sotto accusa insieme a Del Monte e Chiquita per sfruttamento minorile nelle piantagioni di banane. Non esattamente una garanzia a tutela dei diritti umani.