Spinta dall’attività di lobbying dei maggiori produttori di carne, sia Stati sia privati, l’agenzia Onu che si occupa di alimentazione ha sabotato e insabbiato i tentativi di tracciare un legame tra allevamento di bestiame, emissioni di metano e riscaldamento globale. L’incredibile accusa nei confronti della Fao è arrivata da alcuni ex funzionari dell’organizzazione: gli stessi che nel 2006 scrissero il primo documento che calcolava i costi ecologici del bestiame e dei latticini. Proprio da quel momento, secondo le accuse, partì un’intensa attività negazionista della Fao, tra documenti rinviati, passaggi riscritti, relazioni insabbiate e reti di ricerca sabotate. Attività negazionista andata avanti per più di un decennio, secondo una ricostruzione del Guardian, che ha intervistato una ventina tra ex e attuali funzionari.

Tutto è cominciato dopo il 2006, secondo quanto scrive il giornale britannico. A quei tempi la questione del cambiamento climatico si stava imponendo nel dibattito e nell’agenda internazionale, ma fino ad allora il settore primario era in parte riuscito a sfuggire dai riflettori. Fino a quell’anno, quando fu redatto il Livestock’s Long Shadow, lo storico documento che per la prima volta quantificava l’impatto ambientale causato dalla carne e dai latticini. Il rapporto attribuì agli allevamenti di bestiame, soprattutto quelli di bovini, circa il 18% delle emissioni globali di gas serra. Dal momento della pubblicazione lo studio ebbe grande risonanza e fu seguito da un’ondata di documentari, tra cui Meat the Truth e Cowspiracy, ma al contempo generò una valanga di critiche da parte dell’industria della carne, che aveva sempre visto nella Fao un alleato affidabile.

La Fao fu fondata nel 1945 con il compito di porre fine alla fame e migliorare la nutrizione aumentando la produzione agricola: il risultato, si legge sul Guardian, è stato che l’agenzia è finita più a rappresentare l’industria che non ad esaminarla. Pur consapevoli di questo, il piccolo gruppo di ricercatori nel 2006 ritenne comunque che fosse giunto il momento di approfondire la questione. E tuttavia, nessuno di loro era preparato alla tempesta che si sarebbe scatenata.

Secondo ex esperti della Fao, cominciò una vigorosa campagna di boicottaggio, andata avanti almeno fino al 2019. Ad esempio, nel 2009 la Fao ritardò di diversi mesi la pubblicazione di un secondo rapporto, intitolato Livestock in the Balance. Dopodiché, gli alti funzionari dell’agenzia riscrissero e “ammorbidirono” i passaggi chiave di un altro rapporto sul tema, e arrivarono a “seppellire” completamente un ulteriore documento, Agriculture at the Crossroads, uno studio Iaastd co-sponsorizzato dalla Fao che definiva il bestiame come “probabilmente la più grande fonte settoriale di inquinamento idrico“.

Per di più, quel 18% di emissioni causate dal bestiame – la cifra fissata dal rapporto del 2006 – fu in seguito rivisto al ribasso: prima al 14.5%, con un documento del 2013 intitolato Tackling Climate Change Emissions, e poi all’11.2%, con il nuovo modello Gleam 3.0. Il tutto mentre altri studi scientifici non legati alla Fao rivedevano invece al rialzo quella percentuale: intorno al 20%, oppure tra il 16.5% e il 28.1%. Secondo Anne Mottet, funzionario della Fao responsabile dello sviluppo del bestiame, i cambiamenti nelle cifre dipendevano esclusivamente dalle migliori pratiche e metodologie adottate dall’agenzia, che poteva accedere a dati e strumenti più sofisticati.

La reazione della Fao coinvolse direttamente anche i funzionari più critici, alcuni dei quali furono esclusi dalle riunioni dell’agenzia. Interessante quanto dichiarato da Hans R. Herren, principale autore di Agriculture at the Crossroads e vincitore del World Food Prize. Herren ha descritto “l’enorme pressione” per non pubblicare il documento, pressione esercitata da paesi come Stati Uniti e Australia. “Quando sono stato invitato a tenere un discorso alla plenaria della Fao, l’organizzatore mi ha detto: ‘Sei libero di parlare ma non puoi menzionare il rapporto Iaastd’. Non ha spiegato il motivo, ma credo che fosse perché il rapporto raccomandava una trasformazione del sistema alimentare che non era in linea con ciò che avevano in mente alcuni dei principali paesi sostenitori della Fao”.

Insomma, “i lobbisti ovviamente sono riusciti a influenzare la situazione”, ha dichiarato uno degli ex funzionari coinvolti nella vicenda. “Hanno avuto un forte impatto sul modo in cui venivano fatte le cose alla Fao e c’era molta censura. Far passare i documenti prodotti oltre l’ufficio per le comunicazioni aziendali era sempre una dura lotta e bisognava respingere una buona dose di vandalismo editoriale“. Un altro ex funzionario ha invece parlato di “notevole pressione interna”, con conseguenze sulla carriera per il personale che aveva lavorato al rapporto. “Non era proprio un ambiente sano in cui lavorare”. Anche perché, come ha sottolineato Herren, “la Fao, come la maggior parte delle agenzie, dipende da fondi esterni”, il che è “un modo per esercitare pressione”.

E ancora, Henning Steinfeld, capo dell’unità di analisi del bestiame della Fao, ha riferito di incontri tra diplomatici e lobby della carne da un lato, e alti dirigenti della Fao dall’altro lato, incontri in cui i primi incoraggiavano i secondi a non investire in lavori sull’impatto ambientale. Le pressioni provenivano sia dai paesi produttori – come Brasile, Argentina, Uruguay, Paraguay, Australia e Stati Uniti – sia dal “settore privato, i produttori di carne su larga scala, i produttori di mangimi e latticini”. Steinfeld ricorda inoltre di aver sentito lamentele come “la Fao è caduta nelle mani di attivisti vegani”, oltre a minacce personali come “le persone anti-bestiame sono una piaga che deve essere sradicata”.

Ciò che emerge dall’inchiesta del Guardian è quindi un’attività di lobbying sulla Fao paragonabile a quella dei giganti del petrolio e del gas sulla politica energetica. E come i colossi dell’energia sono stati spesso accusati di negare il ruolo dei combustibili fossili nel riscaldamento globale, così pare aver fatto la Fao con riferimento agli allevamenti di bestiame. Per il momento la Fao e diversi lobbisti dell’industria di carne e latticini si sono rifiutati di commentare.

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