Meglio l’uovo oggi o la gallina domani? Tradotto in termini di diritti tv: meglio i soldi di Dazn (e Sky), pochi ma fino a un certo punto, comunque non quanti si aspettavano gli avidi presidenti del pallone; oppure il canale della Lega, una chimera, una minaccia, una suggestione che ciclicamente rispunta promettendo meraviglie tecnologiche e incassi faraonici, ma nessuno sa poi quanto valga in realtà? Nessuno conosce davvero la risposta, ma una bisognerà trovarla comunque: oggi la Serie A sceglie il suo futuro.
È il giorno dell’ultima assemblea sui diritti tv, quella salvo sorprese da dentro o fuori. Inutile ripetere quanto questa – più di qualsiasi altro big match, scudetto o coppa in palio – sia la partita decisiva per la Serie A, e in fondo tutto il calcio italiano che da essa dipende (non solo metaforicamente: c’è la famosa mutualità, il 10% del totale, che sostiene la base della piramide). L’intero carrozzone si regge sul miliardo circa che arriva dai diritti tv. Incassarne troppi di meno significherebbe ridimensionare un movimento già ridotto ai minimi termini, tra scandali in serie, campionato coperto dai debiti, nazionale in crisi di risultati e disaffezione crescente del pubblico. Per questo tutto ruota intorno a quella fatidica cifra.
Il bando attuale è stato – come prevedibile – il più difficile di sempre. E quanto successo nell’ultimo anno c’entra davvero poco: il popolo della rivolta juventina è convinto di aver affossato il sistema con le sue disdette, l’altra metà dell’Italia che la colpa sia aver “tutelato il brand” della Juve (Gravina dixit), ma in realtà il problema è strutturale. Di un mercato saturo da tempo a livello internazionale, e proprio asfittico in Italia, dove sono rimasti solo due veri player (Dazn e Sky), che non sono nemmeno più alternativi ma complementari tra loro, quindi addio concorrenza. E lo dimostra il fatto che, nonostante un bando complicatissimo con oltre 24 pacchetti, che ha provato ad esplorare ogni possibilità senza lasciare nulla di intentato, alla fine ci ritroviamo allo stesso identico punto di tre anni fa.
Oggi la Serie A ha due opzioni sul tavolo. La prima è continuare con Dazn e Sky: altri cinque anni esattamente come sono trascorsi gli ultimi tre, si spera un pochino meglio dal punto di vista della qualità del prodotto e degli ascolti. L’offerta dei broadcaster è invariata: tutte le 10 partite ogni domenica sulla piattaforma streaming, 3 in condivisione col satellite. Anche le cifre sono quasi identiche: dopo essere partiti da una base molto bassa di 600-700 milioni, le due emittenti si sono spinte fino a quota 900. Di questi, 700 li metterebbe Dazn, che continuerebbe a fare la parte del leone (non ha alternative: senza la Serie A sparirebbe in Italia) anche senza l’apporto di Tim; Sky invece manterrebbe un piede nel calcio italiano, rilanciando anzi il suo impegno (nell’ultimo triennio ha speso molto meno) a fronte di pick migliori sulle partite (almeno un big match vero a domenica finirebbe anche sul satellite). Siamo molto vicini ai 930 milioni incassati nell’ultimo triennio, che potrebbero anche essere pareggiati considerando che l’offerta di Dazn prevede degli interessanti bonus (la Lega riceverebbe anche il 50% dei ricavi oltre un certo margine). È vero che i presidenti speravano di incassarne oltre un miliardo, ma quella forse era solo un’illusione.
La seconda opzione invece è la rivoluzione. Cioè il famoso canale della Lega: in due parole, la Serie A che si fa editore di se stessa, produce le partite (facile) e poi le distribuisce e vende direttamente ai tifosi (molto più complesso). Messa così è sicuramente una sfida affascinante (tra i presidenti e anche in Lega c’è chi non vede l’ora di affrontarla, De Laurentiis su tutti) ma le incognite sono enormi. Niente più assegno garantito alla fine del mese dai broadcaster, i soldi andrebbero cercati sul mercato, col rischio anche di perderne. Ci sarebbe probabilmente il sostegno di un fondo di investimento (si aprirà la seconda busta del bando, quella ad oggi rimasta segreta), ma non è chiaro a quali condizioni. Un salto di sicuro, forse nel futuro, forse nel buio.
Come al solito la Serie A è spaccata in correnti e fazioni. Tutto può succedere, anche perché per accettare l’offerta servono 14 voti su 20, che vuol dire anche che ne bastano solo 7 per far saltare il banco. Il buon senso farebbe pensare che i presidenti del pallone sono troppo avidi, mediocri e disperati per rifiutare 900 milioni dalle pay-tv. Certo, però, qualcuno potrebbe essere anche tanto sciocco e presuntuoso da pensare che il calcio italiano ne valga di più.
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