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“Il piano di Israele su Gaza? La occupa già illegalmente, ora potrebbe ristabilire una presenza militare”: intervista alla relatrice Onu Francesca Albanese

Israele ne è certo, il piano per sconfiggere Hamas deve svilupparsi in tre fasi: operazione militare, anche di terra, prolungata su Gaza, eliminazione dei “nidi di resistenza” e, infine, la “creazione nella Striscia di una nuova realtà di sicurezza sia per i cittadini di Israele sia per gli stessi abitanti di Gaza”. La road map tracciata dal ministro della Difesa, Yoav Gallant, sembra così andare nella direzione opposta rispetto alle decennali richieste palestinesi di disimpegno e ritiro di Tel Aviv dai Territori Occupati. Ilfattoquotidiano.it ha chiesto a Francesca Albanese, Relatrice speciale delle Nazioni Unite sui Territori palestinesi occupati, se la decisione del governo Netanyahu non configuri un’altra violazione dei trattati da parte di Israele.

Descrivendo la strategia israeliana per combattere Hamas, il ministro Gallant ha detto, tra le altre cose, di puntare alla “creazione nella Striscia di una nuova realtà di sicurezza sia per i cittadini di Israele sia per gli stessi abitanti di Gaza”, aggiungendo che un obiettivo è la “rimozione della responsabilità di Israele per la vita a Gaza”. Sta parlando di un’occupazione di alcune zone della Striscia?
Ai sensi del diritto internazionale, Gaza è già sotto occupazione israeliana, così come Cisgiordania e Gerusalemme est dal 1967. Si veda, ad esempio, il parere della Corte Internazionale di Giustizia del 2004 (in cui si parla di violazione del diritto di autodeterminazione dei popoli da parte d’Israele, ndr). L’assenza di truppe militari o di colonie israeliane, illegali ai sensi del diritto internazionale, all’interno della Striscia non altera questo dato. Israele non ha il diritto di creare alcuna realtà di sicurezza per i cittadini d’Israele all’interno del territorio occupato, su cui non ha sovranità. L’unico modo per garantire la sicurezza dei suoi cittadini e quella dei palestinesi è porre fine a 56 anni di occupazione militare tramutatasi in veicolo di colonizzazione e oppressione. Sono 300 le colonie israeliane illegali in Cisgiordania e Gerusalemme est. Devono lasciare che i palestinesi godano finalmente dei propri diritti civili, culturali, politici, economici, e sociali, come gli ebrei israeliani.

A quali possibilità apre questa dichiarazione di Gallant? Zona cuscinetto, colonie, presenza militare israeliana?
L’occupazione c’è già. C’è anche un assedio che va avanti da 16 anni e che costituisce una punizione collettiva ai sensi del diritto internazionale, quindi un crimine di guerra. La finalità di quest’operazione sembrerebbe piuttosto quella di ristabilire una presenza militare all’interno della striscia di Gaza attraverso il trasferimento forzato di milioni di palestinesi fuori da Gaza. Non sarebbe la prima volta che, in contesto di guerra, i palestinesi vengono costretti a lasciare in massa le loro terre senza più potervi fare ritorno. Furono 750mila nel 1947-49 e 350mila nel 1967.

L’ex generale e consigliere per la sicurezza nazionale di Netanyahu, Yaakov Amidror, in una recente intervista a Repubblica ha lasciato intendere che deciderà Israele cosa fare di Gaza. Non spetterebbe invece all’Onu?
Il Consiglio di Sicurezza dell’Onu ha la responsabilità di garantire pace e sicurezza. Il diritto internazionale, che impone dei limiti a ciò che è permesso agli Stati, incluso nell’ambito dell’uso della forza, dovrebbe costituire un faro tanto per il Consiglio di Sicurezza che per gli Stati Membri. Il popolo palestinese ha un diritto inalienabile all’autodeterminazione, il che comporta l’obbligo per gli Stati Membri di intervenire a garanzia dell’esecuzione di questo diritto gravemente violato da anni di occupazione coloniale e apartheid da parte di Israele. Questo grazie anche all’impunità garantitagli soprattutto dall’influenza degli Stati Uniti. Per anni le Nazioni Unite hanno trattato la questione palestinese come un problema da gestire con gli aiuti umanitari invece che come una questione politica da risolvere nel rispetto del diritto internazionale. A mio avviso, il rispetto del diritto internazionale rimane l’unica via per garantire una pace duratura sia per gli israeliani che per i palestinesi.

Un’occupazione o la creazione di una zona cuscinetto “mangiando” territorio palestinese nella Striscia sarebbe una violazione delle risoluzioni Onu sui confini del 1967?
Israele viola le risoluzioni dell’Onu sui possibili confini dal 1967. La progressiva colonizzazione e annessione del 60 per cento del territorio di Cisgiordania e Gerusalemme sono già una chiara indicazione di quale sia l’intenzione dello Stato di Israele dal 1967: assicurarsi il controllo della terra che rimane al popolo palestinese, senza il popolo palestinese. Quello che sta succedendo a Gaza sembra essere l’ennesimo capitolo dell’espropriazione collettiva a danno del popolo palestinese.

È invece ipotizzabile l’avvio di una missione Onu simile a quella in Libano?
Non mi sembra che ci siano neanche gli estremi per un cessate il fuoco, benché lo richiedano a gran voce molti esperti indipendenti delle Nazioni Unite, tra cui io, la società civile internazionale, israeliana e palestinese, molti Stati al di fuori dell’Occidente assieme ai cittadini e alle cittadine che stanno protestando contro il nuovo eccidio in corso a Gaza, le violenze in Cisgiordania e a Gerusalemme, in tutto il mondo. Personalmente ho richiesto il dispiego di una missione di protezione nel territorio palestinese occupato sin dall’inizio del mio mandato, il 1 maggio 2022. Durante questo periodo ho riportato l’uccisione di 61 israeliani e 460 palestinesi fino al 6 ottobre.

Le parole di Gallant rischiano di scatenare nuovi e più intensi attacchi da parte di Hamas e dei suoi alleati?
Le parole di Gallant stanno generando un’indignazione profonda in tutte le persone di coscienza. L’occupazione coloniale, fortemente militarizzata, che Israele impone ai palestinesi è strutturalmente violenta, con i suoi espropri forzati, la distruzione di case e scuole, le esecuzioni sommarie, gli arresti arbitrari di palestinesi di ogni età, anche bambini di dodici anni, le privazioni e le umiliazioni costanti. Una situazione così oppressiva e protratta nel tempo senza che nessuno riesca a porvi fine, rischia naturalmente di generare altra violenza.

Come giudica la decisione di Israele di chiedere ai civili l’evacuazione della zona nord della Striscia e, quasi contemporaneamente, bombardare Khan Younis e Rafah?
Entrambe queste azioni finiscono nell’alveo dell’illegalità. La prima perché non si può evacuare in massa una popolazione civile verso una zona che è anch’essa sotto bombardamenti ed è già stata gravemente distrutta. Tale ordine viola i principi di distinzione, proporzionalità e precauzione nell’uso della forza in contesti di occupazioni militari. Ci sono infatti malati, anziani, donne con bambini piccoli che non hanno la capacità di spostarsi. Il rischio di pulizia etnica è alto: si evince tanto dalle esperienze pregresse quanto da molteplici dichiarazioni di politici israeliani che suggeriscono che la “soluzione egiziana”, cioè il trasferimento forzato dei palestinesi nel Sinai, sia la soluzione ideale per tutti.

In questi giorni si è parlato della riapertura del valico di Rafah per far evacuare i civili palestinesi, anche se l’Egitto non è a favore. È realistico pensare di poter accogliere così tante persone in un territorio problematico come il Sinai?
Non capisco perché non si debba pensare all’evacuazione in Cisgiordania e a Gerusalemme, visto che quello è territorio palestinese. O in Israele, visto che si sta parlando di civili e quindi persone protette. L’Onu potrebbe fare da garante e aiutare al mantenimento della sicurezza.

Twitter: @GianniRosini