Sembrava imminente una settimana fa, certa nel weekend appena passato e invece l’offensiva di terra israeliana su Gaza è stata di nuovo rimandata. A più di due settimane dal sanguinoso attacco di Hamas nel sud del Paese, la risposta senza precedenti promessa dal governo di Benjamin Netanyahu è arrivata solo dal cielo, provocando già quasi 5mila vittime, la maggior parte civili, nella Striscia. Dall’esercito fanno sapere che le contrattazioni per il rilascio degli ostaggi in mano al partito armato palestinese hanno influito sulla decisione, ma dietro a essa si nasconde soprattutto il timore di un allargamento del conflitto con l’Iran e ai suoi alleati.
A dare la notizia dell’ultima frenata dei carri armati di Tel Aviv è stata la radio dell’Esercito annunciando la scelta di “rinviare l’operazione di terra” a Gaza, in attesa dell’arrivo di altre truppe americane nella regione. Washington ha già inviato sostegno navale con due portaerei di stanza nel Mediterraneo e aereo, ma si teme che un’invasione di terra della Striscia, con conseguente aumento del numero delle vittime, possa spingere Teheran a iniziare una guerra per procura attraverso i suoi alleati nell’area, Hezbollah in testa. Per questo, puntualizza la radio nel suo annuncio, “gli Stati Uniti hanno espresso a Israele l’intenzione di dispiegare forze aggiuntive in Medio Oriente, in preparazione di un’operazione di terra, a causa dei timori di un’escalation degli attacchi iraniani contro le sue forze nella regione”.
Certo, oltre alla volontà dell’Iran, per arrivare a un allargamento del conflitto serve anche quella di Hezbollah e Israele. E entrambe le fazioni hanno molto da perdere dalla nascita di un nuovo fronte di guerra. Da una parte c’è Tel Aviv che ha la necessità di concentrare le proprie forze sul fronte di Gaza in vista dell’annunciata invasione di terra e, allo stesso tempo, di non sguarnire le proprie posizioni in Cisgiordania, dove l’allerta per attacchi da parte di miliziani di Hamas e di altri gruppi armati rimane alta. Aprire un altro importante fronte a nord, al confine con il Libano, rischierebbe di alleggerire troppo gli altri due.
Anche Hezbollah ha i suoi ‘contro’ da tenere in considerazione. Innanzitutto, un’incursione in territorio israeliano richiederà un massiccio impiego di armamenti e forze militari e dovrà prevedere anche la muscolare reazione di Tel Aviv. Ed è proprio questo che potrebbe creare i principali problemi al Partito di Dio: il ricordo dell’ultimo conflitto con lo ‘Stato ebraico’, datato 2006, è ancora vivo nelle menti di una popolazione stanca delle guerre e fiaccata da anni di crisi economica e politica. Un nuovo conflitto rischierebbe di avere un effetto boomerang sulla formazione sciita. Resta da capire che tipi di supporto e garanzie sono state offerte dal grande alleato Iran. Il rischio di un’escalation, comunque, esiste, come testimonia la preoccupazione mostrata da Israele con i bombardamenti a più riprese sugli aeroporti di Aleppo e Damasco, in Siria, considerati i principali hub per il trasferimento di equipaggiamento militare in arrivo dall’Iran.
La missione di pace dell’Onu in Libano, comunque, garantisce che da ambo le parti l’allargamento del conflitto non è visto come l’opzione migliore. Come dichiarato all’Ansa dal portavoce di Unifil, Andrea Tenenti, “la situazione è tesa, potrebbe portare a un conflitto più vasto ma allo stesso tempo, nelle conversazioni che come Unifil abbiamo con entrambe le parti, non c’é una vera voglia di innalzare il conflitto a un livello insostenibile”. I segnali di pericolo, dati i precedenti, non vanno però ignorati: “Nel 2006 la guerra scoppiò in 15 giorni, con gli israeliani arrivati da subito a Beirut. Qui sono oltre due settimane che sta andando avanti in questo modo. Logicamente c’é sempre l’errore di calcolo che potrebbe cambiare le regole del gioco in un attimo. La gente va ancora avanti e indietro da Beirut, che sembra un Paese staccato, noi continuiamo a essere operativi con pattugliamenti quotidiani anche con gli elicotteri. I rischi ci sono, la situazione potrebbe degenerare, ma al momento non siamo ancora a questo punto”.