Il principio della separazione dei poteri, che ci consente di poter fare affidamento su un processo equo davanti ad un giudice imparziale, vale per tutto e tutti, tranne forse per il calcio.

Come ricordato da Lorenzo Vendemiale sul Fatto quotidiano di ieri, infatti, il governo, a firma del suo ministro per i Rapporti con il Parlamento, Luca Ciriani, in un emendamento apparso all’improvviso venerdì scorso ha inserito nel cosiddetto decreto Caivano, dedicato alla prevenzione del disagio giovanile, un emendamento, nella fattispecie, l’art 15 bis alla legge antipirateria del luglio 2023, il cui primo firmatario in Parlamento era stato l’onorevole Federico Mollicone, attraverso il quale, superando qualsiasi principio di tutela del contraddittorio, di difesa in giudizio e di sottoposizione delle controversia ad un giudice, si mettono nelle mani di soggetti privati, i poteri di indagine, di repressione e cautelari delle forze di polizia e della magistratura.

Un emendamento, dichiarato incredibilmente ammissibile e destinato ad essere approvato, dal momento che è stato inserito in una legge di conversione di un decreto legge che poi scadrà, ergo, dovrà essere approvato in tempi rapidi a scatola chiusa.

La discussione è prevista a partire dal 24 ottobre.

Perché mai collocare norme salva-calcio in un decreto dedicato al contrasto al disagio giovanile? Non si sa. Come non si sa il perché, nelle pieghe del decreto, vengano assegnate all’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni risorse per l’assunzione di personale per oltre 40 milioni sino al 2033. E non è tutto, perché, sempre nel decreto Caivano, quindi in norme a tutela dei minori, si addossa agli operatori di Telecomunicazioni l’intero peso della lotta alla pirateria in un rapporto one-to-one con i titolari del diritto d’autore, con l’Agcom – che nel frattempo ha emanato un regolamento il cui estensore è l’ex deputato leghista, ora commissario Agcom, Massimiliano Capitanio – a fare da spettatore.

Le disposizioni del decreto Caivano sono mortificanti per gli Internet service provider, che non hanno ovviamente nulla a che vedere con la pirateria e che hanno l’unico torto di trovarsi in mezzo tra i titolari del diritto d’autore e le piattaforme estere, non potendo nemmeno contare in virtù dell’emendamento presentato, su un possibile contraddittorio effettivo, in virtù della modifica operata all’art 2, comma 3, punto 3 della stessa norma antipirateria.

Addirittura, in deroga al codice delle comunicazioni elettroniche, che prevede un minimo ed un massimo di sanzioni contenute, si prevede, nello stesso emendamento, per i soggetti incolpevoli, ovvero i provider, nel solo caso della possibile violazione del diritto d’autore (operata, come si è detto da terzi) una sanzione fino 2 per cento del fatturato, mettendo nelle mani discrezionali dell’Agcom, poteri riservati dalla legge alla magistratura, in virtù di quanto tra l’altro stabilito da una sentenza della Corte Costituzionale, e conseguente adeguamento da parte del Consiglio di Stato e Tribunale Amministrativo regionale del Lazio.

Tutto questo in una decreto legge sulla tutela dei minori e sul disagio giovanile.

Invece di fare come l’Europa ci chiede con le disposizioni del Digital services act, ovvero di colpire le attività illecite presso le grandi piattaforme estere che vìolano la legge, o, di fare come nel settore dell’antiterrorismo, laddove, come previsto da una legge di agosto di quest’anno, sotto la stretta supervisione della magistratura, si adottano poteri cautelari nei confronti delle stesse piattaforme, e non dei provider, l’Italia preferisce mortificare gli operatori di telecomunicazione e le piccole e medie imprese di prossimità che forniscono servizi al cittadino, saltando a piè pari il ricorso alla magistratura.

Giustificando il tutto con una urgenza e necessità, che allo stato attuale non si intravede.

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