Un concerto che ha portato "Tredici canzoni urgenti", tratte dall'ultimo album dell'artista, insignito della prestigiosa Targa Tenco 2023 come Miglior Album. La magia di Capossela risiede nelle parole ancor più che nella musica, creando un'atmosfera unica
Il segno che non si partecipa a uno spettacolo ma ad un concerto di carattere “civile”, quasi fosse una manifestazione, è il fatto che nessuno osa fino alla fine tirar fuori il cellulare per scattare una fotografia a Vinicio Capossela, per immortalare solo per se stesso una canzone, per inviare un video ad un amico. Nulla.
Al debutto del tour invernale di “Con i tasti che ci abbiamo” che porta in trenta città diverse “Tredici canzoni urgenti”, l’ultimo lavoro (uscito ad aprile e vincitore della prestigiosa Targa Tenco 2023 nella categoria Miglior Album) dell’artista nato in Germania da genitori Campani, cresciuto nella campagna di Scandiano in provincia di Reggio Emilia tra i ricordi partigiani ma con un piede a Milano e uno nel mondo, è come si sentisse accapponare la pelle più per le parole che per la musica.
Sul palco in apertura di serata un divano rosso in un angolo insieme a Andrea Lamacchia al contrabbasso; Piero Perelli alla batteria; Alessandro “Asso” Stefana alla chitarra; Raffaele Tiseo al violino; Michele Vignali al sassofono e Daniela Savoldi al violoncello.
Capossela, non ti risparmia fin dal primo minuto ma con “Sul divano occidentale” ti coinvolge in maniera drammaticamente attuale: “Sul divano occidentale arruolati da sdraiati, disputiamo, guerreggiamo interventisti sul divano. Sul divano sorvoliamo, sui conflitti, sulla storia, atterriamo, decolliamo e poi planiamo sul divano”.
Mai prima d’ora il cantautore delle più note “Che cos’è l’amor” (che porta in scena comunque in questo concerto), “Il ballo di San Vito”; il “Paradiso dei calzini”; di “Marinai, profeti e balene” e poi ancora della ri-scoperta del rebetiko ormai dieci anni fa, aveva sviscerato tematiche sociali e fatto politica attraverso le note.
Vinicio, a 58 anni, mostra così di non temere nulla e con maestria affronta il tema della violenza di genere in “La cattiva educazione” come mai nessuno l’ha fatto prima: “Son stati i padri, è stato il sacrificio. Son stati i rifiuti a cui non si è educati. È stata la cattiva educazione che non ha mai insegnato l’emozione…”. E poi calato il silenzio più profondo in sala, con “Minorità”, porta in ogni teatro la voce di chi vive l’esperienza del carcere con un testo sferzante: “Ho chiesto la penna al secondino per compilare la domandina. Ora che tutto si è fatto piccino e chiedo permesso anche per prendere l’aria…”.
A conquistare lo spazio del palco, a metà serata, è un’enorme luna gonfiabile, che funge sia da mimesi di quella vera sia da giocattolo con la quale Capossela si diverte con il “Cha cha chaf della pozzanghera” citando la “Grammatica della fantasia” rodariana oltre a farci riflettere con “I tasti che ci abbiamo”: “Il nostro concerto – spiega Vinicio – vorrebbe essere un invito a fare con quello che si ha, a fare dei limiti una possibilità e soprattutto a non avere paura di sbagliare”.
Ma prima di terminare c’è tempo per ringraziare. Così stupendoci ancora una volta, colui che talvolta ricorda con i suoi testi la poesia di Fabrizio De André, canta “Il tempo dei regali” lasciandoci il messaggio che è “meglio essere grati che nostalgici” e “L’uomo vivo”, facendo finalmente alzare la gente dalle comode poltroncine per celebrare la vita sulla morte.