La moglie di Vincenzo Scarantino, il falso pentito della strage di via d’Amelio, cercò di parlare con la moglie di Paolo Borsellino già nel 1994. Voleva raccontare delle torture subite dal marito nel carcere di Pianosa per obbligarlo ad autoaccusarsi della strage del 19 luglio 1992. A raccontarlo alla commissione Antimafia è stata Lucia Borsellino. La figlia del magistrato ha concluso la sua audizione a Palazzo San Macuto, insieme al marito, l’avvocato Fabio Trizzino, che difende anche Manfredi e Fiammetta Borsellino.

Rosalia Basile, moglie di Scarantino, andò sotto casa della famiglia Borsellino in via Cilea, a Palermo, nel febbraio del 1994. “Abbiamo ricevuto uno squillo al citofono alle dieci di sera – ha raccontato Lucia Borsellino – era la moglie di Scarantino, con un gruppo di persone, che voleva salire a casa nostra e parlare con mia madre. Noi abbiamo visto questa incursione come poco opportuna: il mio fidanzato di allora, un poliziotto della Scientifica, ritenne di scendere e fare da filtro e quindi di fatto non consentì alla signora di salire a casa. Su indicazione dell’allora questore Finazzo fece una relazione di servizio, di cui però non si seppe nulla per molto tempo. Quella relazione non era mai stata assunta agli atti dei processi e questo testimone fu sentito solo nel 2016“. Ma cosa voleva raccontare la moglie di Scarantino alla famiglia Borsellino? “Dalle poche parole che il mio ex fidanzato riuscì a scambiare con la signora Basile seppe che voleva riferire a mia madre dei maltrattamenti che suo marito subiva a Pianosa per costringerlo a parlare”. Pochi mesi dopo Scarantino diventa ufficialmente un collaboratore di giustizia: si autoaccusa della strage di via d’Amelio e fa i nomi dei suoi complici. Comincia in questo modo il più grande depistaggio della storia giudiziaria italiana, come è stato definito dal processo Borsellino Quater.

Alla fine della sua audizione Lucia Borsellino ha consegnato alla commissione anche una copia dell’agenda marrone di suo padre, quella che il giudice usava per segnare i numeri di telefono. “Nella borsa di mio padre c’era non solo l’agenda rossa ma anche un’agenda marrone, che conteneva una rubrica telefonica. Un’agenda mai repertata, che ci è stata consegnata e che abbiamo custodito per trent’anni senza aver mai saputo che non avesse avuto attenzione sotto il profilo delle indagini. In questi giorni ho chiesto a mio fratello di fornire a questa commissione copie scansionate di quell’agenda e sarà mio padre a far comprendere chi fossero le persone di cui si fidava e quelle di cui non si fidava”, ha detto la figlia del magistrato ucciso nella strage di via d’Amelio.

Borsellino utilizzava tre agende: una grigia dell’Enel in cui segnava i suoi appuntamenti e che fu ritrovata in casa sua dopo la strage, una marrone dove appuntava i numeri di telefono e una rossa dei carabinieri, che comincia a usare dopo l’assassinio di Giovanni Falcone e che non faceva mai leggere a nessuno. Il giudice aveva riposto gli ultimi due diari, quello marrone e quello rosso, nella sua valigetta poco prima di compiere il suo ultimo viaggio: quello dalla casa al mare di Villagrazia di Carini a Palermo, in via d’Amelio, dove abitava sua madre. Dopo la strage, però, dalla valigetta di Borsellino mancherà l’agenda rossa. La borsa, invece, con all’interno l’agenda marrone, verrà consegnata solo dopo più di cinque mesi alla famiglia da Arnaldo La Barbera, che fino a quel momento l’avrebbe tenuta sul divanetto della sua stanza.

“Di quella borsa non abbiamo mai avuto alcun verbale né di consenga e né di repertazione – ha detto Lucia Borsellino – Io vorrei dare la mia lettura su quell’agenda marrone, che è stata aggiornata fino alla mattina del 19 luglio: lì troverete tutti i numeri delle persone vicine a mio padre. Si trovano per tre quarti numeri di magistrati e per il resto di familiari. Troverete un surplus di numeri di persone che mio padre aveva necessità di raggiungere in qualunque momento oppure di persone come Giammanco che per questioni lavorative doveva raggiungere. Non troverete i numeri di chi non aveva queste frequentazioni. Me ne assumo la responsabilità: per i numeri che non troverete lascio a voi ogni valutazione”.

La figlia del magistrato è anche una delle prime persone che ha fatto notare la mancanza dell’agenda rossa dalla valigetta del padre. “Io ho testimoniato personalmente in ordine alla presenza dell’agenda rossa nella borsa perché sono stata testimone oculare dell’utilizzo dell’agenda da mio padre la mattina del 19 luglio. L’agenda rossa era nella borsa con l’agenda marrone, il costume da bagno, le chiavi di casa, le sigarette”, ha continuato Lucia Borsellino, ricordando che quando fu riconsegnata alla famiglia la borsa del giudice “mi sono arrabbiata perché non ci era stata consegnata l’agenda rossa ed ero certa che fosse nella borsa”.

Già pochi giorni dopo la strage Arnaldo La Barbera, il superpoliziotto che ha gestito il depistaggio Scarantino, dice che dentro la valigetta di Borsellino l’agenda rossa non c’era. O che forse era andata distrutta nell’esplosione. Ma come fa a essere stata distrutta l’agenda e rimanere quasi integra la borsa che la conteneva? “Io sono certo che l’ha portata con sé. Escludo la possibilità che l’abbia lasciata a casa al mare o in altri luoghi perché mio padre non se ne separava mai“, ha raccontato Lucia Borsellino. E nella “malaugurata ipotesi l’avesse lasciata a Villagrazia di Carini non gli fu dato il tempo di tornare”, ha continuato, ricordando che subito dopo la strage in quella casa “abbiamo subito un furto in cui è stato messo a soqquadro solo lo studio di mio padre e non fu rubato nessun oggetto di valore“.

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