Emmanuel Macron strattona l’Europa e la spinge verso un nuovo conflitto mediorientale. Arrivato in Israele per incontrare il presidente Isaac Herzog e il primo ministro Benjamin Netanyahu, ha assecondato la narrativa israeliana secondo cui Hamas persegue gli stessi obiettivi dello Stato Islamico e, quindi, ha deciso di “proporre ai nostri partner della coalizione anti-Isis in Iraq e Siria” che si costruisca “una coalizione internazionale e regionale per combattere Hamas e i gruppi terroristici che ci minacciano tutti”.

Un intervento che ha il duplice effetto di stravolgere definitivamente i già precari equilibri in seno all’Unione europea e al cosiddetto fronte occidentale e di far aumentare di nuovo il rischio di un allargamento del conflitto. L’intervento armato di una ipotetica nuova coalizione anti-Hamas rischia infatti di scatenare la reazione degli alleati del partito armato palestinese, Iran in primis, che scatenerebbe una guerra su larga scala tra potenze che hanno sviluppato tecnologie nucleari.

Le parole del presidente francese sorprendono alla luce di quanto dichiarato appena 24 ore fa, prima della partenza per Tel Aviv: l’Eliseo aveva fatto sapere dell’intenzione del capo dello Stato di chiedere la “ripresa di un vero processo di pace” per la creazione di uno Stato palestinese, al fianco dello Stato israeliano, il che significa anche la “fine della colonizzazione” in Cisgiordania. “L’unico modo per essere utili – sostenevano le fonti – è fornire solidarietà a Israele, assumere impegni molto chiari contro i gruppi terroristici, riaprire una prospettiva politica”. Infine, si era precisato che Macron avrebbe discusso della creazione di uno Stato palestinese “come previsto dall’ipotesi dei ‘due Stati’, che la Francia ha sempre sostenuto”.

A Tel Aviv, però, la posizione del capo dell’Eliseo è apparsa molto più oltranzista: “La lotta deve essere senza pietà. Ma non senza regole, perché siamo democrazie che combattendo il terrorismo rispettano il diritto di guerra, assicurano l’aiuto internazionale e non prendono di mira i civili a Gaza né altrove”, ha detto auspicando che si riporti “l’elettricità agli ospedali senza che venga usata per la guerra. Parlo a nome di un Paese che ha subito attacchi terroristici e voi eravate lì. E credo sia nostro dovere combattere questo terrorismo, senza confusione, senza estendere il conflitto”.

È proprio questa, però, la prima e più pericolosa conseguenza della formazione di una coalizione internazionale a trazione occidentale per combattere Hamas a Gaza. Portare i caccia europei e americani sui cieli della Striscia significherebbe entrare in guerra in maniera attiva, diventando così un obiettivo da colpire, non solo sul suolo palestinese, per il fronte che invece si è schierato con Hamas, a partire dall’Iran e da Hezbollah. A questo vanno aggiunti i rischi di riattualizzare e ridare forza ai messaggi di odio delle formazioni terroristiche mondiali, Stato Islamico e al-Qaeda in testa, basati sulla narrazione dell’invasore occidentale che opprime la Umma, la comunità islamica. Messaggi che potrebbero riattivare cellule dormienti o lupi solitari sparsi nei Paesi europei.

Con questi presupposti, è difficile capire come poter portare a termine il “deciso rilancio” del processo politico con i palestinesi auspicato dallo stesso Macron pochi secondi dopo aver chiesto un intervento occidentale a Gaza. Sembra evidente come l’unico interlocutore possibile, in questo caso, possa essere l’Autorità nazionale palestinese che, però, oggi vive una stagione di forte debolezza e scarsa credibilità tra il popolo palestinese. Proprio mercoledì, non a caso, Macron volerà a Ramallah per incontrare il presidente dell’Anp, Abu Mazen, e affrontare la questione. Ma dopo le dichiarazioni del capo di Stato francese, non sarà facile per il leader palestinese stringere un accordo con chi promette un intervento armato in un territorio che, seppur governato da Hamas, rappresenta sempre una parte dei Territori Occupati da Israele.

La proposta di Macron rischia però di acuire anche la crisi politica interna all’Unione europea. Lunedì si è consumato l’ultimo scontro interno alla Commissione Ue, con l’Alto rappresentante per la politica estera, Josep Borrell, che ha stroncato la linea tracciata da Ursula von der Leyen nel corso del suo intervento all’Hudson Institute di Washington. La capa di palazzo Berlaymont, alla presenza di Joe Biden, aveva promesso pieno e incondizionato appoggio dell’Ue a Stati Uniti e Israele. Le sue parole avevano provocato l’immediata reazione interna al Consiglio europeo, con fonti interne impegnate a ricordare come la strategia in politica estera debba essere discussa con i 27 capi di Stato e di governo, e al Parlamento Ue, con diffusi malumori raccolti anche da Ilfattoquotidiano.it. Ieri, poi, il capo della diplomazia europea, oltre che vicepresidente della Commissione, aveva chiarito che le parole di von der Leyen erano tutt’altro che condivise: “È la quinta guerra che vedo a Gaza e ogni volta ho sentito dire ‘questa volta la facciamo finita con Hamas’. L’ho ascoltato troppe volte. Non si ottiene la pace per il futuro infliggendo ai bambini di Gaza sofferenze. Ogni diritto ha dei limiti e in un assedio non ci può essere un taglio dell’acqua e dell’elettricità, lo abbiamo detto più volte così come abbiamo condannato fermamente gli attacchi brutali di Hamas”. Adesso è arrivato Macron a rendere ancora più complicata la ricerca di una linea comune europea.

Twitter: @GianniRosini

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