È con particolare attenzione all’effetto mediatico che Sahra Wagenknecht lunedì ha reso pubblico di lasciare la Linke dopo aver fondato, già a fine settembre a Mannheim, l’Associazione Alleanza Sahra Wagenknecht per la ragione e la giustizia. Il fine dichiarato è quello di raccogliere fondi per il lancio di un nuovo partito politico nel prossimo gennaio, in tempo per le elezioni europee e quelle locali di giugno, oltre alle successive regionali in Sassonia, Brandeburgo e, soprattutto, Turingia, Land in cui Wagenknecht è nata e in cui c’è un Governatore della Linke.

Sahra Wagenknecht si è autodefinita “conservatrice di sinistra”, ma la sua ricetta ha anche accenti populistici. Intervistata dalla ZdF ha giustificato la sua mossa con tono autopromozionale: “Abbiamo un grosso vuoto rappresentativo, la gente non sa per cosa votare, viviamo in un’epoca di massicce crisi geo-politiche mondiali e al contempo abbiamo il peggior governo che la Repubblica federale abbia mai avuto. Deve succedere qualcosa, altrimenti vedo il futuro con apprensione, c’è rischio che la Germania decada economicamente e desidero impedirlo”. E ha poi aggiunto che se la Linke è passata dal 10% circa di preferenze a lottare per entrare nel Bundestag “vuol dire che la sua proposta non arriva più agli elettori”. Il nuovo partito potrà fornire “un indirizzo serio” per quanti votano Alternative für Deutschland, “non perché sono di destra ma perché sono arrabbiati e disperati”.

L’indirizzo di Wagenknecht è di aperta critica ai Verdi, la Germania si dovrebbe allontanare da un corso ciecamente ecologista che renderebbe più cara la vita alla gente senza servire affatto al clima, ricorrendo invece ancora a gas e petrolio russi. “La Germania è un Paese scarso di materie prime, forte nelle esportazioni e una gran parte del nostro benessere dipende dal fatto che abbiamo una creazione di valore industriale molto alta, ma con le sanzioni economiche ci siamo tagliati fuori da forniture energetiche a buon mercato”, ha sentenziato auspicando una politica economica “che assicuri un ceto medio forte”.

Altri due pilastri su cui fonda la sua proposta sono la giustizia sociale, elevando sensibilmente il salario minimo e salvaguardando meglio le pensioni, nonché l’arresto dell’immigrazione irregolare perché rafforza i problemi nelle scuole, soprattutto nei quartieri più poveri. Un arco tra politica sociale di sinistra e politica migratoria di destra, per certi versi simile a quello del Pis in Polonia. L’ultimo terreno di impegno abbozzato sarà quello di riportare la Germania a una politica di distensione, di sforzi diplomatici per una pace tra Russia e Ucraina, fermando qualsiasi fornitura di armi e ponendo fine alle sanzioni.

Uno dei leader della Linke, Gregor Gysi, ha descritto con tono lapidario il progetto dell’ex compagna come un cocktail di politica sociale sulla falsariga di quella della Linke, politica economica alla Ludwig Erhard (l’ex Cancelliere della Cdu a cui è attribuito il miracolo economico tedesco del dopoguerra), condito con lotta alla immigrazione irregolare sullo stile della AfD. Un programma che se prendesse la luce si stima potrebbe però raccogliere il 30% circa delle preferenze nei nuovi Länder e quantomeno il 15/20% nel resto del Paese, erodendo fortemente l’elettorato della AfD togliendoli almeno una preferenza su sette.

Nella cordata degli altri nove membri che lasciano la Linke per entrare nella squadra di Sahra Wagenkencht spicca l’avvocatessa Amira Mohamed Ali, un passato di studi anche a Roma, fino a poco tempo fa co-capogruppo al Bundestag. Poi il deputato Christian Leye che insieme a quest’ultima fa ora parte della direzione dell’Associazione BSW. Quindi Lukas Schön del Nord-Reno Vestfalia che ne è il Consigliere delegato. Secondo Stern, Schön è stato denunciato dalla delegazione dei Linke del suo Land per sospetto furto di dati: avrebbe fatto una copia dell’elenco dei 7.900 iscritti. Il politico ha però negato ogni responsabilità.

Sahra Wagenknecht difende la scelta di personalizzare la nuova formazione col suo nome perché potrà candidarsi in prima persona solo in un Land e gli elettori dovranno riconoscere la sua lista anche negli altri. Non è la prima a ricorrere questo stratagemma, in Germania è già accaduto con la lista Todenhöfer e la caratterizzazione è stata la chiave del successo anche delle campagne di Emmanuel Macron o di Sebastian Kurz. Wagenknecht assicura però che è solo un passaggio iniziale, poi il partito cambierà egida. La dirigente della Linke Janine Wissler l’ha però tacciata di “egotrip”.

Fino all’effettivo lancio della nuova formazione, i “frondisti” non intendono rinunciare al mandato e vorrebbero rimanere nel gruppo parlamentare, d’altronde così percepiscono ancora una diaria di circa 10.600 euro e una compensazione spese esentasse di altri 4.700 euro circa al mese. Il capogruppo della Linke Dietmar Bartsch lo ha definito un comportamento “irresponsabile e inaccettabile”, mentre il co-leader Martin Schirdewan li ha invitati espressamente a rinunciare al mandato per fare posto a dei successori. Altrimenti, secondo Gregor Gysi, Gesine Lötsch e Sören Pellmann, commetterebbero un “furto altamente immorale”.

Se i deputati di BSW restano al Bundestag però la Linke non può escluderli senza danneggiare se stessa, perché già adesso, dopo che la Spd ha accolto Thomas Lutze fuoriuscito dal partito, la Linke al Bundestag è ridotta a 38 membri. Per continuare a formare un gruppo parlamentare autonomo non deve scendere al di sotto del minimo di 37. Perderebbe altrimenti finanziamenti, dovendo licenziare dei collaboratori, avrebbe tempi di intervento ridotti e non potrebbe più presentare come adesso interrogazioni, né richiedere discussioni. È probabile, perciò, che li tollererà almeno fino a fine anno, sperando che il progetto magari abortisca.

Non è il primo tentativo di Sahra Wagenknecht di fondare un nuovo soggetto politico. Ci aveva già provato nel 2018 con il Movimento “Rialzarsi” fallendo drasticamente sul lato organizzativo e c’è chi conta possa accaderle ancora. La dimostrazione Rivolta per la pace che la 54enne promosse a Berlino con la femminista Alice Schwarzer nel febbraio scorso, attirando l’appoggio di molti elettori della AfD, aveva d’altronde già segnato la rottura netta col suo partito di origine. Un rapporto rimasto teso anche se a maggio 2022 la commissione arbitrale federale aveva deciso di non dare corso alla richiesta di cacciarla presentata nel giugno 2021. La sua fuoriuscita, dopo diverbi e speculazioni durate quasi due anni che hanno danneggiato la Linke, lungi dal segnarne il definitivo tracollo, potrebbe alla fine essere liberatoria consentendole un rilancio.

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