È l’estate del ’93, la radio passa gli 883, esistono ancora gli esami di riparazione ma Elisa viene promossa a pieni voti ed è così che inizia la serie, trasmessa da stasera su Rai Uno, che racconta i suoi ultimi giorni felici come solo quelli di una sedicenne possono. “Per Elisa – Il caso Claps”, racchiude in sei episodi (che andranno in onda in tre differenti prime serate) i 17 lunghi anni di silenzi e bugie che hanno segnato la famiglia Claps, Potenza e l’Italia intera a partire da quel 13 settembre del ’93 in cui la ragazza potentina scomparve dalla chiesa principale di corso Pretoria in cui aveva deciso di incontrare Danilo Restivo, un ragazzo bizzarro che tutti canzonavano tranne lei. Elisa da quella chiesa della Santissima Trinità è uscita senza vita 17 anni dopo, grazie al ritrovamento nel sottotetto del suo corpo da parte di due operai durante dei lavori di manutenzione, poco dopo la morte de Parroco Don Mimì Sabia, più volte tirato in ballo in questa tragica e oscura vicenda.
Per il suo omicidio è stato condannato Danilo Restivo che la colpì con 12 coltellate dopo un approccio sessuale rifiutato dalla ragazza. Sulla maglietta intrecciata a mano dalla madre di Elisa, vennero trovate tracce del suo Dna. Quando fu accusato per l’omicidio di Elisa, Restivo viveva in Inghilterra, a Bournemouth, nel Dorset, dove era tenuto sotto controllo dalla polizia inglese, perché sospettato per l’omicidio della sua vicina di casa, la sarta 48enne Heather Barnett. Il corpo era stato mutilato e nelle mani erano state trovate due ciocche di capelli non appartenenti alla vittima: si era già fatto notare a Potenza per questa inquietante mania di tagliare di nascosto i capelli alle ragazze per cui era stato appellato “il parrucchiere”.
Il 17 marzo del 2010, Elisa è stata ritrovata morta nello stesso luogo in cui scomparve e in cui aveva incontrato Restivo: il sottotetto della Chiesa della Santissima Trinità, come aveva detto alla sua amica Eliana quel giorno. Tutto portava lì, e in quella chiesa andarono a cercarla i suoi familiari quella stessa domenica mattina scontrandosi con il divieto, da parte dei sacerdoti, di perlustrarla. “Conoscevo la storia ma non immaginavo quanto fosse stato lungo il percorso della famiglia per arrivare alla verità”, spiega a FqMagazine il regista della miniserie, Marco Pontecorvo. “Questa serie non è un’indagine, per quello esistono le inchieste e le carte processuali. Non è solo cronaca, c’è molto di più: parla di noi, del nostro Paese, della giustizia, della volontà di raggiungerla. Racconta di una missione”.
Conosceva la storia di Elisa Claps nei dettagli?
“Quando ti approcci a una storia devi conoscere bene tutto. La prima cosa che fai, per entrarci dentro e raccontare chi l’ha vissuta, è documentarti. Non conoscevo la parte investigativa. Quelle persone esistono ancora e hanno sofferto, ho sentito una grande responsabilità rispetto al loro dolore. I Claps sono persone bellissime perché trasparenti, li vedi per come sono, quella famiglia ha portato avanti una battaglia enorme per tutti noi. Tenevo molto alla ricostruzione di quel mondo, mi sono concentrato sulla descrizione dello stato d’animo dei protagonisti senza voler fare delle “figurine” ma ritratti tridimensionali e introspettivi. Ad esempio, ho voluto rendere sullo schermo quel “groppo” sullo stomaco di cui mi ha parlato il fratello di Elisa, Gildo, quella sensazione che ha avuto sin dalla prima telefonata a casa Restivo che qualcosa fosse andato male e che quel ragazzo non gli stesse dicendo la verità senza sapere ancora quanto fosse drammatico il destino di Elisa”.
Per delineare Danilo Restivo, a cosa si è affidato?
“Non ho mai conosciuto Restivo, mi ero fatto un’idea su di lui ma non volevo far venir fuori “la macchietta” del serial killer o del ragazzo difficile. Il suo è un personaggio in evoluzione. All’inizio, quasi gli stai vicino, non è negativo, non è la rappresentazione del cattivo, l’evoluzione c’è dopo. È stato un percorso difficile, non volevo restare in superficie ma scendere nel profondo per raccontare tutte le possibili sfaccettature di Restivo, anche la sua parte ingenua e fanciullesca che convive con quella malata, quell’alternarsi tra pulsioni interne”.
Un altro personaggio difficile è quello del parroco, Don Mimì…
“Don Mimì è ambiguo, processualmente non è stato neanche sfiorato dalla storia. Cosa sapesse nessuno lo saprà mai, però c’è molta ambiguità. Non era compito nostro indagare, ma abbiamo suggerito di andare in fondo alla vicenda attraverso i personaggi. Non tutti i veli sono caduti, la famiglia di Elisa continua a cercare verità, deve esserci un’indagine che restituisca la verità processuale, fino ad allora resteranno tante ombre sulla storia di Elisa, forse per sempre. Ma quello che ancora manca per avere giustizia arriva alle persone che sentono nel cuore questa vicenda”.
Quando avete iniziato le riprese, Gildo Clap dichiarò che non vi è stato concesso di girare in nessuna delle chiese della Diocesi di Potenza. Dove avete girato gli interni?
“In altre chiese, non c’è stata nessuna apertura. Abbiamo mimato l’interno della Trinità al di fuori dalla Basilicata. Abbiamo dovuto girare le scene interne nelle chiese di Roma”.