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Sono stato fermato in aeroporto per una sciarpa della Palestina: così l’Europa restringe le libertà

Sabato 21 ottobre sono stato fermato e trattenuto per quasi un’ora dalla polizia tedesca. La mia colpa? Indossare una sciarpa con i colori e la bandiera della Palestina.

Sto rientrando in Italia dal Sudafrica. A Francoforte mi aspettano diverse ore di scalo. Passeggio, compro un caffè (cui rinuncerei volentieri all’estero, ma proprio non ce la faccio). Mi imbatto in un lavoratore aeroportuale che, sottovoce, mi fa: “Nice scarf” (“Bella sciarpa”). Sorrido e vado oltre. Mi fermo a leggere i giornali.

Dopo un po’ proseguo verso il varco controllo passaporti. Ci si deve fermare solo su richiesta degli agenti di polizia. Richiesta che puntualmente, per me, arriva. “Sarà per via della sciarpa della Palestina”, mi dico, visto che i passeggeri che mi precedevano sono passati senza alcuna verifica. Controllano il passaporto, nessun problema. Proseguo oltre.

Mi dirigo verso il gate del volo Lufthansa Francoforte-Napoli. All’attraversare una porta mi imbatto in due poliziotti che vanno nella direzione opposta. Mi fermano, uno dei due immediatamente indica la sciarpa e fa sorridente: “Cosa abbiamo qui?”.

Iniziano le prime domande. La richiesta del passaporto. Consegnato. Poi spiegazioni su “cosa vuoi mai significare con questa sciarpa?”. Gli rispondo che è abbastanza evidente, è una “sciarpa per la Palestina”. Continuano: “Parli arabo?”. “No”. “E che c’è scritto qui?”, indicando una scritta in arabo al margine della sciarpa. “Non lo so, non parlo arabo”.

Si fanno consegnare la sciarpa e mi intimano di seguirli. “Dobbiamo fare delle verifiche”. Mi conducono presso il commissariato di polizia all’interno dell’aeroporto di Francoforte. Loro entrano nell’ufficio e mi chiedono di attendere all’esterno. Ogni tanto un poliziotto, dopo aver confabulato coi colleghi all’interno e con qualcuno al telefono, esce e fa domande. “Da dove vieni? Dove sei diretto?”. Me lo chiede almeno quattro volte, forse sperando di farmi cadere in contraddizione.

“Hai rapporti con persone o organizzazioni palestinesi o del Medio Oriente?”. “Fai politica?”. “Vai mai a manifestazioni per la Palestina?”. “Che ci facevi in Sudafrica?”. E così via…

Dopo quasi un’ora esce per un’ultima volta, sempre con la sciarpa in mano, e mi dice: “Al momento non è criminal offence (reato penale) indossare questa sciarpa, ma può essere considerata una provocazione”. Posso però andare. Gli chiedo se abbia o meno la libertà di tornare a indossarla. “Non posso dirti di non metterla, ma può essere una provocazione”.

A quel punto sono libero di andare, ma non prima di aver mostrato al poliziotto le carte di imbarco, fotografate con cura. Stessa operazione per la sciarpa.

Quello che mi è successo a Francoforte è un piccolo episodio, paradigmatico però del clima che si respira in queste settimane in Europa: è in corso la criminalizzazione dei simboli e delle bandiere della Palestina.

Il 10 ottobre la ministra degli Interni britannica, Suella Braverman, dichiara che sventolare la bandiera della Palestina potrebbe diventare reato penale. Il 13 ottobre è la volta del Ministro della Cultura italiano, Sangiuliano: “Non ci sarà alcun tipo di tolleranza verso […] striscioni o vessilli a favore di Hamas sui beni culturali delle città italiane”.

Peccato che in Italia, però, nessuno abbia mai esposto “striscioni o vessilli a favore di Hamas”. Nella stessa nota del ministro si legge, infatti, che la dichiarazione è seguita all’esposizione di “una bandiera della Palestina” a Napoli il 12 ottobre. Sangiuliano annuncia “la massima attenzione affinchè nessuno utilizzi i siti culturali statali per esibire simboli anti-Israele”.

Il 18 ottobre è la volta del Parlamento Europeo, che vieta all’europarlamentare Manu Pineda di indossare in aula la kefiah, tradizionale indumento palestinese e arabo.

In Germania, se possibile, la situazione è ancora peggiore. Dal 7 ottobre sono state vietate tute le manifestazioni che facciano riferimento implicito o esplicito alla Palestina. Nel Paese con la più numerosa comunità palestinese d’Europa, ben 80mila persone. Sono state proibite anche iniziative convocate sulla base di slogan come “I bambini di Gaza hanno bisogno di aiuto” e “Solidarietà con la popolazione civile della Striscia di Gaza”. Il 13 ottobre a Berlino è stata vietata una manifestazione convocata dall’associazione “Jewish Voice for a Just Peace in the Middle East”. Il motivo? Secondo la polizia c’era il rischio di “incitazione alla violenza”. Il 14 ottobre a Neukölln è stato arrestato un ragazzo colpevole di essere in strada con la bandiera della Palestina.

L’“invisibilizzazione” dei simboli del popolo palestinese è arrivata anche nelle scuole. Katharina Günther-Wünsch, esponente della CDU a capo del “Dipartimento per l’Istruzione, la Gioventù e la Famiglia”, ha inviato a tutte le scuole di Berlino le linee guida da seguire per discutere di ciò che accade in Palestina. Nel testo si dice che “qualunque azione o espressione di opinione che possa essere considerata come difesa o approvazione degli attacchi contro Israele o come sostegno alla organizzazioni terroristiche che li conducono, ad esempio Hamas o Hezbollah, costituisce una minaccia alla pace scolastica ed è proibita”. Tuttavia, stando al testo della lettera, il divieto si estende anche a “indumenti indossati vistosamente (ad esempio la kefiah, conosciuta come sciarpa palestinese), adesivi e toppe con scritte come “Free Palestine” o una mappa di Israele con i colori della Palestina (bianco, rosso, nero, verde), gridando ‘Palestina libera!’”.

La restrizione delle libertà è stata denunciata anche da una lettera sottoscritta da più di cento ebrei tedeschi “per condannare l’inquietante repressione dell’opinione pubblica democratica”. I firmatari temono che “con l’attuale soppressione della libertà di parola, l’atmosfera in Germania sia diventata più pericolosa che mai – sia per gli ebrei sia per i musulmani – nella storia recente del Paese” e condannano che tutto ciò sia perpetrato “in nostro nome”.

La privazione della libertà del popolo palestinese si accompagna quindi a un attacco alla libertà anche dei popoli in Europa. Vietare oggi la bandiera della Palestina significa aprire la porta a futuri divieti, anche di altro tipo. Anche per questo, oggi più che mai, la bandiera della Palestina è simbolo di libertà per tutti i popoli del mondo.