Abbiamo sempre saputo che il Piano Mattei sbandierato da Giorgia Meloni equivale al nulla. Lo sappiamo fin da quando la presidente lo annunciò, esattamente un anno fa, il 25 ottobre, nel suo discorso alla Camera per il voto di fiducia al governo più di destra che l’Italia ha avuto. E ora eccoci qui oggi a ricordare che ‘ciurlare nel manico’, come usa dire, non è una buona prassi, anche perché viene sempre scoperta.
Dietro il piano di Meloni non c’è il modello di collaborazione tra continente europeo e africano che aveva ispirato il fondatore dell’Eni, soprattutto e prima di tutto perché non può esserci, essendo il mondo assai cambiato. Ce lo ricordano nel dettaglio due esperti della materia, Andrea Greco e Giuseppe Oddo, che hanno rielaborato le recenti novità sulla materia in un libro importante, L’Arma del Gas. L’Europa nella morsa delle guerre per l’energia, in questi giorni portato in libreria da Feltrinelli.
L’Eni di allora, in nome della quale Enrico Mattei andava a stipulare accordi nei paesi dell’Africa, non è la stessa azienda di oggi: allora ente pubblico per le strategie di politica energetica, oggi Spa quotata in Borsa che deve dar conto delle sue scelte a una maggioranza di azionisti privati. La sovranità di Giorgia non è la stessa di cui disponeva il fondatore dell’Eni ucciso mentre era in volo a causa dell’audacia delle sue scelte: circostanza che Meloni non ricorda mai, penserà forse che sia morto di polmonite?
Inoltre, spiegano i due esperti giornalisti, settant’anni dopo molti paesi con cui Mattei ebbe rapporti, e dove l’Eni è tuttora presente, sono un altro mondo: allora lottavano per l’indipendenza, oggi sono retti da regimi dittatoriali, corrotti o comunque non democratici e sono coinvolti, come nel caso della Libia, nel traffico di migranti. Enrico Mattei si presentò alle giovani classi dirigenti dell’Africa decolonizzata, nomi che hanno nutrito le speranze di milioni di persone: Ben Bella in Algeria, Nasser in Egitto, Lumumba in Congo, leader nazionalisti di ispirazione socialista, come un imprenditore pubblico di un paese occidentale aderente alla Nato che aveva reciso il legame con il suo passato coloniale e che offriva loro delle partnership per sviluppare alla pari un’industria petrolifera.
In paesi come l’Algeria, dove l’Eni sosteneva il glorioso Fronte di liberazione nazionale in guerra contro la Francia, Mattei è considerato tuttora un martire caduto per la libertà del popolo magrebino. Le innovative aperture ai paesi arabi e le intese con l’Urss in piena guerra fredda per lo scambio di greggio sovietico con merci italiane facevano parte di una stessa strategia di attacco al cartello delle major angloamericane, colpevoli, secondo l’allora presidente dell’Eni, di avere escluso l’Italia dagli accordi di spartizione delle risorse petrolifere mondiali.
Giorgia Meloni si muove lungo crinali ben diversi da quelli sui quali volava per il mondo Enrico Mattei: per la destra italiana si pone un problema assai serio, quello dell’approvvigionamento energetico dopo la sua scelta – condizione atlantica della sua entrata in carica – di proseguire il supporto politico e militare a Zelensky e il conseguente affrancamento dalle importazioni di gas dalla Russia che è stata per decenni tra i nostri maggiori fornitori di materie prime energetiche. Di qui la necessità di vagare altrove e di trovare sponte qui e là, dove sia possibile.
A venti giorni dal suo giuramento al Quirinale, la nuova presidente del Consiglio e il neo riconfermato ad dell’Eni, Claudio Descalzi, si recarono a Tripoli per chiudere un accordo con la compagnia di Stato libica Noc e con il governo di unità nazionale presieduto da Abdul Hamid Dbeibah: dopo la firma iniziò il caos per le contestazioni degli stessi libici, ai quali Meloni chiedeva anche un piccolo favore, in cambio di cinque motovedette finanziate dalla Ue: bloccare i migranti che giungono sulle nostre coste in fuga dalla fame e dalla guerra.
Lo spirito predatorio dell’ineffabile (proprio perché vago e indefinito) piano Mattei di Meloni si pone come alternativo a quello paritario e solidale del fondatore dell’Eni. Che fu ucciso in volo mentre raggiungeva Milano da Catania e non morì di freddo.