di Dante Nicola Faraoni

Il Piano Mattei per l’Africa fa acqua da tutte le parti. Non è un pregiudizio ideologico: non eccelle per chiarezza e pianificazione nei dettagli dell’operazione. Sappiamo che è una strategia per far diventare l’Italia hub per il gas di tutta Europa in cooperazione con degli Stati africani. Potrebbe essere, dopo l’inizio del conflitto Russia-Ucraina, una nuova soluzione per recuperare le risorse energetiche di cui l’Europa ha bisogno? I dubbi sono enormi.

Certamente la guerra in Palestina è diventata un problema. Ora che tutti i Paesi arabi produttori del sud est asiatico e del nord Africa appoggiano la causa del popolo palestinese condannando la violenta reazione israeliana agli attacchi di Hamas, il piano ha ulteriori incognite da risolvere.

Inoltre chi sono i Paesi africani ufficialmente interessati alla celebrata cooperazione e quali sono gli accordi fatti o che si faranno? Sappiamo che Eni è partner del progetto e che il suo ad Claudio Descalzi fa le stesse dichiarazioni di Meloni: “Dobbiamo aprirci all’Africa, dobbiamo essere i loro compagni di viaggio e aiutarli a svilupparsi”. Parlano all’unisono di modello di cooperazione non predatorio con i paesi africani, in cui entrambi i partner devono poter crescere e migliorare creando catene di “valore”.

Belle parole, ma anche la Community italiana della cooperazione internazionale ha dei seri dubbi a riguardo. Sono 15.000 operatori, oltre mille organizzazioni e Ong che si occupano di progetti di aiuto, scuole, ospedali, interventi di economia primaria, agricoltura, acqua, produzione locale di alimenti di prima necessità, quella parte dell’Italia che da 50 anni applica la Legge 125 sulla Cooperazione internazionale e aiuta concretamente l’Africa nel suo cammino verso uno sviluppo sostenibile. Anche il Consiglio Nazionale per la Cooperazione e il Comitato interministeriale per la Cooperazione sembrano all’oscuro.

Sappiamo chi è Eni, multinazionale italiana partecipata al 32% dallo Stato, una Golden Power, il resto con azionisti privati italiani ed esteri. Opera sul mercato internazionale e ha interessi marginali in Italia. Un esempio per tutti: lo sfruttamento dei giacimenti di gas in Mozambico. La gestione commerciale è stata lasciata a British Petroleum che non vende in Italia ma al maggior offerente sul mercato mondiale, oggi i Paesi asiatici. Inoltre Eni non si è contraddistinta per aver diffuso benessere e rispetto dell’ambiente in quei Paesi dove ha le sue attività estrattive e produttive. Nelle zone dove opera da decine di anni le popolazioni sono tuttora in povertà e i governi strozzati dal debito. Non un grande esempio di cooperazione, lontano anni luce dagli obiettivi per la sostenibilità dell’agenda ONU 2030.

Irrita il nome dato a questa operazione! Enrico Mattei, ex partigiano, fu incaricato di liquidare e privatizzare gli asset energetici dell’Agip. Lui si rifiutò e dopo una lunga lotta tra chi sosteneva ad oltranza l’iniziativa privata e lui che chiedeva la nazionalizzazione del settore, per ottenere prezzi più bassi rispetto a quelli degli oligopoli internazionali, nel 1957 vinse la battaglia creando Eni. Niente di inventato, è tutto scritto sul sito ufficiale di Eni che è nata per rendere competitiva l’industria italiana e garantire prezzi energetici accessibili a tutti. Se il governo Meloni vuole emulare ciò utilizzi la Golden Power, nazionalizzi la compagnia, crei l’autosufficienza energetica necessaria per sostenere produzione e consumi. Faccia come la Norvegia che con i ricavi delle fossili finanzia la sua green economy e il passaggio alle rinnovabili. Allora il Piano Mattei ci ricorderà gli anni del miracolo italiano frutto anche dei bassi costi energetici.

La Presidente Meloni sia più coerente, chiami il progetto “Piano Descalzi”. Il governo sia più serio con l’Africa, ci dia una definizione di cooperazione. Considerando il background storico culturale di questa destra, sembra più una versione moderna del “Faccetta Nera Bella Abissina”. Please!

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