L’economia israeliana sta accusando i contraccolpi della guerra in corso a Gaza. Dagli attacchi sferrati da Hamas lo scorso 7 ottobre ad oggi la borsa di Tel Aviv ha perso l’11% e la moneta locale, lo shekel, si è indebolito del 5% rispetto al dollaro, nonostante un primo intervento della banca centrale che ha venduto sul mercato 30 miliardi di dollari per risollevare la moneta nazionale.

Nei giorni seguiti all’attacco molte attività sono rimaste pressoché paralizzate, solo negli ultimi giorni si registrano le prime riaperture. Il richiamo nelle forze armate dei riservisti ha sguarnito filiere produttive che non hanno ancora avuto il tempo di riorganizzarsi pienamente. Fermi anche gli abituali movimenti di lavoratori di Gaza verso Israele e ridotti quelli dalla Cisgiordania. Mancano i camionisti e si stima che anche nel settore delle alte tecnologie il 10-15% della forza lavoro sia stata richiamata in servizio nelle forze armate. Dai porti marittimi ai supermercati, sono così molteplici le attività che si trovano in difficoltà e, segnala l’agenzia Reuters, i licenziamenti sono in aumento. D’altro canto la popolazione è in questa fase, comprensibilmente, molto prudente. I negozi sono quasi vuoti, il traffico fortemente diminuito. Nell’ultima settimana gli acquisti con carte di credito si sono ridotti del 12%. Gli hotel ospitano soprattutto sfollati, i flussi turistici (che rappresentano il 5% del Pil) si stanno esaurendo mentre i voli da e per Israele cancellati sono passati dai 20 del 6 ottobre ai circa 400 degli ultimi giorni.

Al di là dei contraccolpi nell’immediato, violenti ma recuperabili, i timori riguardano le prospettive di medio periodo, alla luce del nuovo scenario di elevata tensione. Il prodotto interno lordo israeliano vale circa 500 miliardi di dollari (471 miliardi di euro), con settore tecnologico e turismo come prime voci di valore aggiunto. Per il 2023 era prevista una crescita di circa il 3%, obiettivo che ora potrebbe ridimensionarsi. Lunedì la Banca d’Israele ha ridotto la sua previsione di crescita dal 3% al 2,3% e quella per il 2024 al 2,8% dal 3%. Tel Aviv ha fieno in cascina, il debito è basso (60% del Pil) e nei forzieri della banca centrale ci sono riserve di valuta per 200 miliardi di dollari. Ma molto dipenderà naturalmente dalla durata di questa situazione di emergenza e dall’eventualità che il conflitto si allarghi. Le agenzie di rating hanno avvisato che potrebbero rivedere i loro giudizi sull’affidabilità creditizia del paese (comunque piuttosto elevata), mentre i credit default swap, che consentono di assicurarsi contro l’eventuale insolvenza di un debitore, hanno registrato un forte aumento pur rimanendo su valori contenuti.

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