Il governo non ha alcuna voglia di occuparsene e soprattutto non in Parlamento, dove tuttavia torneranno due dei dossier più indigesti all’esecutivo di Giorgia Meloni, il salario minimo e la ratifica del Meccanismo europeo di stabilità, il Mes. Il nuovo calendario di Montecitorio fissa la discussione il 28 novembre per il primo e nella settimana tra il 20 e il 24 per il secondo, come stabilito dalla conferenza dei capigruppo della Camera.
La proposta congiunta di tutte le opposizioni, meno Italia Viva, per istituire un salario minimo legale di 9 euro l’ora è stata appena rinviata in commissione Lavoro per volontà della maggioranza alla luce del recente documento del Cnel, l’organismo guidato da Renato Brunetta che a maggioranza ha dichiarato inutile l’istituzione di un minimo salariale fissato per legge e più opportuna la strada della contrattazione collettiva. Tesi che ha giustificato il rinvio in commissione per “ulteriori approfondimenti” scatenando le opposizioni che chiedono al centrodestra il “coraggio di un confronto parlamentare”. E così anche la data di novembre sulla discussione in Aula non convince. “Le opposizioni sono compatte, la maggioranza sta usando tutti gli strumenti parlamentari per non esprimersi e speriamo che questa volta per la maggioranza non sia una ulteriore occasione di evitare il voto”, ha detto Francesco Silvestri, presidente dei deputati M5s, al termine della conferenza dei capigruppo. Duro anche il Pd, che cita i nuovi dati Istat sulla povertà in Italia. “Lavorare non salva: l’incidenza della povertà è del 14,7% per famiglie di operai e alta anche per i lavoratori autonomi non professionisti (8,5%). Il governo si oppone al salario minimo perché, dice, non risolverebbe il problema del lavoro povero. Ma certo aiuterebbe”, attacca Maria Cecilia Guerra, responsabile Lavoro del Partito Democratico. Sui dai Istat anche la Cgil, che rilancia: “Si e’ poveri pur lavorando quando le condizioni retributive e di lavoro sono inadeguate, ma il Governo si oppone vigliaccamente a salario minimo e legge sulla rappresentanza”.
Quanto al Mes, l’Italia è l’unico Paese dell’Eurozona a dover ancora ratificare la nascita dell’organismo intergovernativo europeo pensato per assistere finanziariamente gli Stati Ue che hanno difficoltà a finanziare il proprio debito pubblico sul mercato. A votarlo in Europa è stato il governo Conte II e serve ora l’ok del Parlamento. Ma Lega e Fratelli d’Italia ne contestano, tra l’altro, la governance in mano a un Consiglio composto dai ministri delle Finanze. Per fugare ogni dubbio, l’estate scorsa la premier Meloni ha dichiarato che “discutere adesso del provvedimento non è nell’interesse nazionale”, e questo nonostante il via libera del ministero dell’Economia di Giancarlo Giorgetti. Così, di rinvio in rinvio, il Meccanismo non vedrà l’Aula prima di fine novembre, sempre che non arrivi l’ennesima richiesta di sospensiva sulle proposte di legge di ratifica. A differenza del salario minimo dove lo scontro è tutto interno, nelle intenzioni del governo l’approvazione del Mes è ancora sul tavolo del confronto europeo, lo stesso della riforma del Patto di stabilità e crescita e della revisione del Piano nazionale di ripresa e resilienza, entrambi dossier che vedono l’Italia sorvegliata speciale, per l’alto rapporto Debito/Pil e per i ritardi sui progetti legati al Pnrr italiano, il più finanziato dell’Ue. E così finora non si è fatto altro che temporeggiare.
Dall’Europa arrivano nuovi segnali di impazienza. Il presidente dell’Eurogruppo Paschal Donohoe ha scritto al presidente del Consiglio europeo Charles Michel in cui auspica che il processo parlamentare italiano per la ratifica del Trattato del Mes si concluda quanto prima: “Attediamo con impazienza la sua finalizzazione il prima possibile, nell’interesse di tutti noi, dell’Eurozona nel suo complesso e degli Stati membri individualmente, Italia compresa”. Parole inviate in vista dell’Eurosummit che venerdì seguirà il Consiglio europeo del 26 e 27 ottobre, e subito riprese dalle opposizioni in Italia. “Meloni non può traccheggiare ancora se non danneggiando l’Italia”, hanno dichiarato Benedetto della Vedova e Riccardo Magi di +Europa che attaccano il governo Meloni “incapace di disfarsi del suo armamentario complottista ed anti euro”. Ma nella maggioranza non sembrano impensieriti. “Con tutto quello che succede nel mondo stiamo a pensare al Mes”, ha dichiarato il vicepremier Antonio Tajani di Forza Italia. Mentre la premier, avvicinata alla Camera dopo le comunicazioni in vista del Consiglio europeo, si è smarcata semplicemente dicendo che il tema non è all’ordine del giorno. “Così in Europa continuiamo a perdere credibilità, ultimi a dover ancora ratificare il Trattato”, ha commentato la capogruppo del Pd alla Camera, Chiara Braga.