Fa un effetto devastante rivedere oggi in sala, in questo ottobre denso di orrori, Il cielo sopra Berlino (restaurato in 4K – ovvero la risoluzione 4096×2160 pixel – dalla Wim Wenders Foundation in collaborazione con la Cineteca di Bologna). La Berlino del 1987 in cui Wenders, di ritorno dagli Stati Uniti, girò il film, era la Berlino Ovest che avrebbe dovuto attendere ancora più di due anni per divenire Berlino tout-court con l’abbattimento del muro, il 16 novembre 1989.
Quella di Wenders è una Berlino desolante, fangosa, disumana, bombardata e quasi post atomica, con edifici semidistrutti, rari squallidi chioschi dove prendere un caffè in bicchierini di plastica, e qualche fumoso locale underground dove gruppi di ragazzi che paiono zombies fanno oscillare i corpi più che ballare, mentre Nick Cave e i Bad Seeds si esibiscono live con brani new-wave, non certo edificanti per lo spirito. Insomma, un’umanità disfatta dalla guerra e dalla prigionia geografica che fa tanto pensare a Gaza o a Mariupol.
E se gli uomini sono impotenti ci vogliono gli angeli. Angeli decisamente laici, quelli di Wenders, ma pur sempre angeli, con tanto di ali che uno di loro, Damiel (Bruno Ganz) mostra solo in una scena iniziale. L’altro angelo, Cassiel (Otto Sander), non vive la brama di umanità del suo collega che non ce la fa più ad essere puro spirito e anela di corporalizzarsi. Ci riuscirà attraverso l’amore per una trapezista in crisi (Solveig Dommartin, allora compagna di Wenders, scomparsa a soli 46 anni nel 2007), costretta ad abbandonare il circo francese in cui si esibisce, ormai fallito, e il suo fantastico sogno acrobatico.
Gli angeli in giro per Berlino sono tanti, si radunano spesso nella Biblioteca Nazionale dove, magari, solo poggiando una mano sopra la spalla dei tanti ragazzi che studiano, li consolano, non visti, tentano di proteggerli dal loro smarrimento, dalle loro angosce per la triste situazione che stanno vivendo in una città divisa e disumanizzante. Solo i bambini possono vedere gli angeli e quando ne incontrano uno gli sorridono ricambiati. Gli angeli, fra loro, si riconoscono, si salutano con discrezione, con giochi di sguardi, e Damiel e Cassel riflettono spesso anche sulla propria situazione di prigionia spirituale, ma anche sulle sorti del mondo. E c’è pure un ex-angelo ovvero il tenente Colombo-Peter Falk che interpreta se stesso e può sentire la presenza degli ex colleghi alati, ma non vederli: sta lavorando a un film che si gira in un set circondato da cancelli e catenacci che sembra più un campo di concentramento.
Il film avrà anche un meno felice sequel, Così lontano, così vicino!, girato da Wenders nel ’93, più o meno con gli stessi personaggi e interpreti.
Una poesia più che un film, che va vissuto emotivamente e visivamente: la fotografia di Henri Alekan è meravigliosa, nel senso etimologico del termine, e alterna bianco e nero girato spesso con una calza sull’obiettivo e colore per le (non molte) scene più umanizzanti. Poco importano, a mio avviso, gli intellettualismi cui fa riferimento Wenders: “L’idea è sorta contemporaneamente da diverse fonti”, dichiarò il regista, come riportato in Descrizione di un film indescrivibile di Giovanni Spagnoletti-Michael Töteberg. “Anzitutto dalla lettura delle Elegie duinesi di Rainer Maria Rilke. Poi tempo addietro dai quadri di Paul Klee. Anche dall’Angelo della storia di Walter Benjamin. D’un tratto ascoltai anche un brano dei The Cure che parlava di ‘fallen angels’. Riflettevo anche su come in questa città convivano, si sovrappongano i mondi del presente e del passato, immagini doppie nel tempo e nello spazio, a cui venivano ad affiancarsi ricordi d’infanzia, di angeli in veste di osservatori onnipresenti e invisibili”. Dichiarazioni alte, infatti, che attengono più alle riflessioni, alle letture e alle passioni musicali del regista di Düsseldorf. E che sono state, forse, anche la causa di molte critiche di incomprensibilità che il film ha subito, nonostante la Palma d’oro a Cannes ’87 per la regia.
Il cielo sopra Berlino è, infatti, un film da guardare e basta, emozionandosi come quando si legge una poesia che ci tocca il cuore. E in questi orribili giorni di terrore ce lo tocca ancor di più. Il cielo sopra Israele, sopra Gaza, sopra l’Ucraina e sopra tutti i 170 conflitti che devastano il mondo, non spedisce angeli sulla Terra. Almeno per ora, gli angeli dobbiamo trovarli dentro ciascuno di noi.