“Si sono la figlia di Domenico Albano, non posso rinnegare mio padre, ho scelto questa professione per la legalità, ero solo una bambina e di questi fatti ne sono venuta a conoscenza solo da grande. Non rinnego la storia di mio padre e non ha avuto nessuna refluenza, né io né la mia famiglia”. Prova a smarcarsi l’assessora regionale alla famiglia Nuccia Albano, scelta da Totò Cuffaro, rispondendo alla domanda della giornalista di Report, Claudia Di Pasquale, sul padre Domenico Albano, boss di Borgetto. Una risposta che però cade come un macigno sulla giunta regionale targata Renato Schifani, già in alto mare sulle nomine dei nuovi manager sanitari, prorogando in queste ore i commissari fino a gennaio 2024. Nel centrodestra lo scontro interno è aperto, vista l’alleanza Lega e Raffaele Lombardo, la sintonia tra il governatore e Cuffaro, e l’isolamento dei meloniani. Mentre l’opposizione chiede unanime le dimissioni di Albano, per non aver preso le distanza dal padre mafioso.
Replica dell’assessora – “Sono stata ‘violentata’ da una giornalista di Report che mi ha sottoposto ad una raffica di domande su mio padre – ha commentato poco dopo l’intervista l’assessora Albano – Premetto che mio padre è morto 60 anni fa, quando io ne avevo 10. Ho saputo, solo quando sono diventata grande, che aveva avuto problemi con la giustizia e che era stato in carcere”. Poi l’assessora aggiunge sul padre: “Ho di lui il ricordo di una bambina innamorata del proprio papà e da lui adorata. Sono stata a studiare in collegio dalle suore dall’età di 9 anni e lì ho saputo della morte di mio padre, avvenuta in ospedale, poi, da grande, sono venuta a conoscenza che era stato in detenzione”.
Da medico legale a politico – Laureata in medicina nel 1977, Nuccia Albano è stata la prima donna medico legale della Sicilia, e già consulente della Procura di Palermo, occupandosi delle autopsie del giudice Giovanni Falcone e dell’imprenditore Libero Grassi, entrambi uccisi dalla mafia. Passata alla corte di Cuffaro, è stata eletta dell’Assemblea regionale siciliana lo scorso 25 settembre 2022 raccogliendo 5.968 preferenze, per poi diventare assessora in quota cuffariana. “Sono cresciuta senza la figura paterna e con una madre che mi ha inculcato il desiderio della giustizia e l’amore per la legalità – aggiunge Albano – Tutta la mia vita è testimoniata da questa educazione alla legalità e rispetto della giustizia. L’essere madre e nonna e la mia vita professionale parlano del mio ostinato senso del dovere e della legalità. Mi addolora moltissimo e mi fa sanguinare il cuore che si sia voluto ricordare questa storia. Ma ciò non può cancellare l’amore di figlia per il padre”.
Il padre boss di Borgetto – Il nome di Domenico Albano risulta agli atti della sentenza del 1956 sulla strage di Portella della Ginestra del 1947, organizzata dalla banda guidata da Salvatore Giuliano, il “re di Montelepre”. I giudici scrivono che a ridosso di natale del 1949, l’ispettore generale di polizia di Stato Ciro Verdiani fece visita al bandito “Giuliano e Gaspare Pisciotta in casa del capo mafia Giuseppe Marotta”, in quella circostanza sarebbero stati presenti “i capi in testa: Ignazio, Nino e Domenico Miceli della mafia di Monreale, nonché Domenico Albano capo mafia di Borgetto”. Il bandito Giuliano avrebbe operato nelle sue scorribande proprio grazie all’avallo dei boss, tra cui Albano. Qualche anno più tardi, è l’allora procuratore capo di Palermo, Pietro Scaglione, ucciso dalla mafia nel 1971, ad indirizzare alla commissione antimafia nazionale una nota sulla composizione di Cosa nostra nel territorio palermitano. Cita “una catena di delitti” verificati a fine Anni Cinquanta “nei territori di Borgetto, Terrasini, Villabate e Baucina, ad opera di due gruppi capeggiati uno da Domenico Albano da Borgetto e l’altro da Gioacchino Arrigo pure da Borgetto”.
“Schifani la rimuova” – “Le colpe dei padri non possono ricadere sui figli, ma da chi è chiamato a rappresentare la Sicilia non possiamo accettare zone d’ombra”, dice il segretario regionale del Pd Sicilia Barbagallo. “Se umanamente possiamo capire i sentimenti di una figlia non possiamo, però, accettare parole ambigue da parte dell’assessora – aggiunge Barbagallo – Riteniamo moralmente grave quanto avvenuto e auspichiamo un intervento rapido del presidente Schifani affinché rimuova l’Albano. Non può esserci spazio in nessuna giunta di qualsiasi colore per chi non censura e si dissocia dalla storia più nera è orribile della Sicilia”. Sulla vicenda è intervenuto anche il deputato regionale Ismaele La Vardera, componente della commissione antimafia: “La cosa più grave è che la Albano è stata indicata da Totò Cuffaro a sua volta anche lui condannato per mafia. Non credo che le colpe dei padri debbano cadere sui figli e sono consapevole che Nuccia Albano ha una storia e una carriera importante. Mi chiedo però, se è normale che questa vicenda sia stata sempre nascosta? Cuffaro sa che l’Albano è figlia di un boss? Renato Schifani sa che un suo assessore è la figlia di un boss?”. “Sulla ferma condanna alla mafia non ci possono essere equivoci, l’assessore Albano prenda nettamente e senza indugio le distanze dalla storia del padre, che è una storia mafiosa. Ci sembra pertanto gravissima la frase pronunciata dall’assessore, magari a caldo: ‘Non prendo le distanze dalla storia di mio padre’, frase che va rinnegata fortemente e senza indugi, altrimenti l’assessore si dimetta”, dicono Nuccio Di Paola, referente regionale del M5S, e Antonio De Luca, capogruppo del M5S all’Ars.