Il fratello di Saman Abbas e teste chiave nel processo in cui sono imputati i genitori, uno zio e due cugini, andava indagato nell’ambito dell’inchiesta sulla scomparsa e morte della sorella. Anche per “assicurargli le garanzie” previste dalla legge. Il giovane A.H. – che indichiamo con le iniziali perché minorenne all’epoca dei fatti – andava indagato come gli altri familiari, poi finiti a processo per la morte della 18enne pakistana di Novellara, uccisa dopo essersi opposta a un matrimonio forzato. Emerge anche questo nell’ordinanza con cui i magistrati della Corte d’assise di Reggio Emilia hanno dichiarato l’inutilizzabilità delle dichiarazioni del giovane. I giudici, nel testo di nove pagine, elencano una serie di “anomalie” e “criticità” in ordine cronologico nella gestione della veste giuridica dell’allora 16enne e ritengono che dovesse essere sentito dagli inquirenti appunto come indagato. L’intervento dei giudici, alla vigilia dell’udienza in Aula del ragazzo, potrebbe cambiare l’esito del processo. E al tempo stesso, se il testimone chiave deciderà di ripetere quanto già detto, le sue dichiarazioni saranno incontestabili: se le criticità fossero emerse più avanti, tutto il procedimento sarebbe stato spazzato via. Ancora più decisiva sarà quindi l’audizione del 31 ottobre, quando il giovane dovrà parlare in Aula davanti al padre e ai familiari. Una posizione ancora più difficile se si considera che, solo pochi giorni fa, è stata rivelata l’indagine a carico di ignoti su minacce e pressioni che A.H. ha continuato a ricevere dalla famiglia per non testimoniare.

Il fascicolo della procura per i minorenni – I giudici riassumono così tutto quello che è avvenuto e che oggi ha portato all’ordinanza con rinvio dell’udienza. Il ragazzo era stato iscritto nel registro degli indagati dalla procura per i minorenni di Reggio Emilia in relazione alla scomparsa della 18enne. È stato quindi sentito ben tre volte (il 12, il 15 e il 21 maggio 2021) come persona informata dei fatti, quindi nella qualità di testimone dagli inquirenti della procura ordinaria. Anche se l’indagine della procura minorile era proseguita con un’altra ipotesi di reato – ovvero di aver costretto la ragazzina a lasciare l’Italia – il giovane, a ogni audizione, avrebbe dovuto essere assistito da un avvocato in quanto indagato in un procedimento connesso a quello sulla morte della sorella. In quella qualità avrebbe avuto il diritto di non rispondere. Le dichiarazioni, anche quelle in sede di incidente probatorio del 18 giugno 2021, sono state considerate non utilizzabili. Nelle prime due audizioni il teste-indagato è stato sentito dalla polizia giudiziaria, nella terza dalla procura ordinaria e i giudici – che hanno accolto un ricorso delle difese degli imputati – sottolineano che “la prevista garanzia non è stata rispettata neppure nell’escussione del 21 maggio 2021, avvenuta appunto ad opera del pm”.

Non fu iscritto insieme allo zio – I magistrati giudicanti – secondo quanto si legge nell’ordinanza – individuano un’altra “anomala circostanza” per quanto riguarda le “discordanze di H.”. “A differenza di quanto accaduto in relazione alla prima escussione a sommarie informazioni, resa il 5 maggio 2021, in cui le discrasie tra quanto dichiarato da Danish Hasnain (la cui testimoinanza ha permesso il recupero dei resti della vittima, ndr) e A.H. hanno condotto all’iscrizione di entrambi nel registro degli indagati – a fronte delle ripetute e numerose omissioni, reticenze e discordanze riscontrabili nel narrato di H. non si è mai proceduto ad interrompere l’escussione del dichiarante“.

C’è poi la questione della ritardata trasmissione di atti dalla procura ordinaria alla procura minorile delle videoregistrazioni degli interrogatori. I giudici ricostruiscono che il 18 giugno 2021, durante l’incidente probatorio, il giovane era stato sentito come testimone “semplice”, anche se in presenza dell’avvocato. Ma solo dopo l’interrogatorio il ragazzo dichiarava di non essere ancora a conoscenza dell’avvenuta archiviazione avvenuta tre giorni prima. Anche se in presenza di quella archiviazione per i magistrati i verbali sono di fatto nulli. “D’altro canto, non può non evidenz1arsi l’estrema celerità con cui si è ritenuto di definire la posizione di A. H., dopo poco più di due settimane dalla trasmissione degli atti relativi al procedimento principale”.

Sapeva dell’omicidio, doveva essere indagato – Infine, ma non meno importante per la corte, c’erano indizi proprio in relazione all’omicidio di Saman a carico di A. H. che emergevano sia dai verbali che dalle intercettazioni. I magistrati evidenziano che il ragazzo aveva dichiarato che il progetto di uccidere Saman risaliva a 2-3 giorni e di aver mostrato lui stesso alla famiglia i messaggi tra la sorella e il fidanzato; messaggi “fino a quel momento ignorati dai genitori e da cui sarebbe scaturita la lite che ha poi condotto all’uccisione della giovane”. Per i giudici anche “volendo prescindere” dal fatto che restare in silenzio di fronte a un reato può essere considerato un concorso con quel reato, il fatto di aver mostrato i messaggi ha fornito un “contributo” a quello che avvenuto dopo “e meritevole, dunque, del dovuto approfondimento investigativo”.

Il ragazzo ha raccontato che la sera del 30 aprile gli sarebbe stato suggerito di tornare a casa, mentre i genitori erano fuori con Saman, per non essere ripreso dalle telecamere e quindi coinvolto nel fatto “con ciò confermando di essere stato reso edotto di quanto stava per accadere”. C’è poi un contatto telefonico tra lo zio e il ragazzo nella sera del 30 aprile e una chiamata di 61 secondi al telefono di Zaman Fakhar “ossia uno dei due parenti indicato dallo stesso ragazzo come coloro che avrebbero voluto e “forzato tantissimo” per l’uccisone di Saman“.

Il vocale della zia – Per i giudici risulta importante anche il messaggio vocale inviato da Shamsa Batool, la sorella del padre residente in Inghilterra, in cui la donna, a conoscenza del piano per l’uccisione della nipote, dice: “Come stai? Stai bene? Hai mangiato? Figlio mio prendi cura di te. Spiega a Maan, a Kami e allo zio che avevo mandato il vocale allo zio ma non l’ha ancora ascoltato, spiegagli che la polizia l’ha portato*, e oltre a questo non devi dire nulla, a la mamma stava molto male quindi papà l’ha portata in Pakistan, devi dire solo questo. Non devi dire null’altro qualsiasi persona ti chiede, figlio mio, non devi nemmeno accennare. Anche nella tua mente deve essere che è andata via come ha fatto in passato“.

Per la corte “non può ritenersi priva di interesse investigativo la circostanza che la zia paterna, dopo aver tentato inutilmente di contattare Danish, scelga di chiamare proprio il nipote più piccolo, decidendo di rivolgersi a lui per suggerire quanto avrebbero dovuto dichiarare alle forze dell’ordine rispetto all’assenza di Saman. Inoltre, secondo i giudici non si può ignorare il fatto che “sia lo zio che il nipote si atterranno poi proprio alle indicazioni fornite dalla zia” quando saranno sentiti dai Carabinieri di Novellara. Entrambi poi, fanno “dichirazioni in parte contrastanti” “tanto da essere entrambi conseguentemente iscritti quali indagati per la ‘scomparsa’ della ragazza”.

L’intercettazione con il padre – Ma non solo per i giudici “avrebbe meritato diversa attenzione” una conversazione del 4 maggio 2021 tra il ragazzo e il padre. H. dice:” … in realtà sai chi ha rovinato, quello dell’Inghilterra ha rovinato. Mandava i messaggi e diceva cosa dire quando verranno e quando hanno preso il mio telefono hanno visto i quei messaggi. Hanno visto tutto. Anche io sono stato costretto a dire che è così, cosa dovevo fare? Se non dicevo così allora potevo rimanere incastrato da solo solo … “. E il padre Shabbar: “Tu cosa gli hai detto che tutto è accaduto così? Secondo e il terzo, chiunque. H. allora ribatte: “Loro sanno tutto, anche se non dico nulla loro lo sanno tutto. Quando mi hanno chiesto, io dicevo di sì, altrimenti se dicevo qualcosa al contrario potevo essere incastrato e sarei rimasto lì dove mi hanno portato la prima volta e non potevo andare da nessuna parte”.

Le conclusioni dei giudici sono che il ragazzo andava iscritto “in relazione al reato principale” ovvero per omicidio. “Con ciò, lo si ribadisce, non si intende dire che sussistesse a suo carico un compendio probatorio utilmente spendibile in sede di giudizio ma che lo stesso avrebbe meritato un diverso approfondimento in sede d’indagine anche al fine di verificare l’attendibilità di un soggetto che rivestiva una posizione indubbiamente delicata in quel momento” si legge nell’ordinanza. L’iscrizione “avrebbe assicurato al dichiarante le garanzie” previste dalla legge “preservando poi l’ulteriore prosieguo delle indagini da eventuali profili di inutilizzabilità, guaii quelli qui in esame“.

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