Neppure Intesa Sanpaolo verserà allo stato la tassa sugli extraprofitti bancari. Come l’altra grande banca italiana Unicredit, ha scelto di destinare le somme al rafforzamento del suo capitale, possibilità contemplata dall’ultima versione della norma sull’imposta che, di fatto, la cancella. Si è capito che, a fronte di un anno che per le banche sarà da record, con profitti per oltre 40 miliardi di euro, per l’erario cambierà poco o nulla. Solo Unicredit avrebbe potuto versare 1,1 miliardi di euro, non poco mentre si dà forma ad una legge di bilancio che sarà molto risicata. Ma l’ultima versione della norma prevede che gli istituti di credito possano in pratica decidere di destinare queste somme a se stesse. Non serve un genio per prevedere quale sarà la scelta che faranno tutti. Giovedì il numero uno di Intesa Sanapaolo Carlo Messina ha spiegato che “È stata data da parte del governo la possibilità di rafforzare il patrimonio della banca intervenendo a favore dell’economia con un maggior patrimonio piuttosto che pagare l’imposta. È chiaro che rispetto a una condizione di questo tipo per una banca come la nostra che già mette a disposizione un miliardo e mezzo per la comunità, per il sociale, che è quello che si dovrebbe fare mettendo l’imposta per le banche, mi sembra la soluzione più corretta”.

Del resto un minuto dopo l’annuncio dello scorso agosto,contro la tassa sugli extraprofitti è iniziato un fuoco di fila che ha visto in prima linea i più noti giornali e commentatori italiani. Come ha confessato Giorgia Meloni, la tassa è stata persino più criticata dai giornali che dai banchieri. Il colpo di grazia l’ha dato l’incrinatura nella maggioranza con Forza Italia fortemente contraria al prelievo. Non per chissà quale ragionamento economico ma per il semplice fatto che la famiglia Berlusconi controlla il 40% di banca Mediolanum. Prima si era ipotizzato di trasformare la tassa in una specie di prestito fatto dalle banche allo Stato, prevedendo che la somma venisse poi restituita negli anni sotto forma di crediti di imposta. Poi l’affondamento definitivo con la scelta sulla destinazione delle somme lasciata agli stessi istituti di credito. All’inizio il governo ha annunciato di attendersi lo stesso incasso, una foglia di fico improbabile volata via in fretta. Nella legge di bilancio non è indicato nessun gettito.

È utile ricordare come le banche non abbiano particolari meriti nella sbornia di profitti degli ultimi esercizi, favoriti quasi esclusivamente dai rialzi dei tassi decisi dalla banca centrale europea. Bce che non gradisce si intervenga nel suo orticello, e che ha criticato da subito la tassa con motivazioni, a dire il vero, piuttosto risibili. Ossia che i soldi versati allo Stato e che si sarebbero potuti utilizzare per scuole, ospedali o semplicemente per aiutare le famiglie più in difficoltà ad accendere un mutuo, sarebbero andate a scapito della solidità patrimoniale delle banche. Peccato che Francoforte continui ad autorizzare con molta generosità la distribuzione di denaro agli azionisti. Giovedì ha ad esempio dato l’ok ad Unicredit per la destinazione di altri 2,5 miliardi ad operazioni di buyback. I soldi distribuiti in forma di dividendi o riacquisto di azioni proprie (buyback appunto) potrebbero a loro volta essere invece destinati a rafforzare il suo patrimonio. L’amministratore delegato Andrea Orcel ha peraltro annunciato di avere a disposizione 10 miliardi di euro che intende elargire agli azionisti della banca. “La versione finale della tassa”, varata dal governo italiano sugli extra profitti delle banche “è molto più ragionevole”, ha commentato soddisfatto il vice presidente della Bce Luis De Guindos.

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