di Roberto Iannuzzi *

A venti giorni dal sanguinoso attacco di Hamas del 7 ottobre, e dall’inizio della rabbiosa risposta israeliana nella Striscia di Gaza, Tel Aviv e Washington (che nel frattempo è giunta in soccorso dell’alleato fornendo supporto politico, finanziario e militare) si trovano in un dilemma strategico: definire obiettivi realistici dell’operazione bellica in corso, scongiurando un pericoloso allargamento del conflitto che potrebbe minacciare la già fragile stabilità mondiale.

Il governo del premier israeliano Benjamin Netanyahu ha imposto un assedio totale a Gaza, dove sono stipate 2.300.000 persone, privando la Striscia di corrente elettrica, acqua, cibo e carburante, e ha scatenato una campagna senza precedenti di bombardamenti aerei, in vista di un’offensiva di terra. Obiettivo dichiarato della leadership israeliana è l’eliminazione delle infrastrutture militari e politiche di Hamas, e possibilmente il definitivo annientamento dell’organizzazione. L’ordine israeliano di evacuare la parte nord della Striscia, accompagnato dalle durissime dichiarazioni di rappresentanti del governo (inclusa quella secondo cui Gaza – un territorio già esiguo – dovrà “essere più piccola alla fine della guerra”) hanno suscitato l’allarme dei paesi arabi.

Affermazioni come quella del generale israeliano in congedo Amir Avivi, fondatore dell’Israel Defense And Security Forum, che ha esplicitamente invitato il presidente egiziano al-Sisi ad aprire il confine, hanno provocato la dura reazione dell’Egitto, il quale rifiuta un eventuale trasferimento forzato di popolazione nel Sinai. Anche rappresentanti dell’Onu e l’ex direttore esecutivo di Human Rights Watch, fra gli altri, hanno ammonito sul rischio concreto di una pulizia etnica a Gaza, e di una nuova Nakba (nome con cui gli arabi indicano la “Catastrofe” del 1948, allorché, in coincidenza con la nascita di Israele, circa 750.000 palestinesi dovettero abbandonare i loro villaggi).

La prospettiva della distruzione di Hamas e di un possibile trasferimento, anche parziale, della popolazione di Gaza ha poi suscitato l’aspra reazione dell’Iran e dei suoi alleati regionali (primo fra tutti il partito sciita libanese Hezbollah), i quali hanno minacciato una risposta militare su più fronti.

Gli scenari di gestione della Striscia, in un’eventuale fase post-Hamas, appaiono ugualmente difficili. Il governo Netanyahu ha già chiarito che non intende accollarsi nuovamente l’amministrazione di un territorio abitato da una popolazione ostile. Ma anche l’ipotesi di estendere a Gaza l’amministrazione di un’Autorità Nazionale Palestinese (Anp) già sull’orlo del collasso in Cisgiordania sembra velleitaria. Per la screditata Anp, giungere a Gaza “a bordo” dei carri armati israeliani non sarebbe certamente un elemento di legittimazione. C’è chi ha perciò ipotizzato un’amministrazione palestinese locale provvisoria, la cui sicurezza sarebbe garantita da forze armate arabe, in attesa di riconsegnare Gaza a un’Anp riformata. Non è però scontato che gli arabi intendano assumersi un simile compito, che potrebbe preludere a un tentativo di scaricare la Striscia sulle loro spalle. E nulla impedisce che da una popolazione così esacerbata e duramente provata emerga una nuova Hamas.

Ma prima ancora di affrontare simili scenari, Israele deve sconfiggere militarmente il gruppo armato palestinese in un difficile teatro di guerra urbana, una sfida in realtà dagli esiti incerti. Un combattimento urbano fra le macerie, dove abitano tuttora decine di migliaia di civili, ulteriormente complicato dal labirinto di tunnel e bunker sotterranei costruiti da Hamas, nei quali i miliziani hanno immagazzinato armi e viveri sufficienti per resistere in un confronto di lunga durata, costituisce un incubo per qualunque esercito. Le forze armate israeliane, motivate dalla percezione di dover ristabilire la propria “deterrenza” violata dall’attacco di Hamas del 7 ottobre, rischiano di impantanarsi in un sanguinoso conflitto subendo numerose perdite.

E già sono emerse divisioni fra i vertici militari e il governo, e all’interno del governo stesso, sull’avvio e la gestione dell’annunciata campagna di terra. La minaccia di Hezbollah, al confine libanese, obbliga peraltro l’esercito a dividere le proprie forze tra Gaza e il fronte nord. Una campagna militare prolungata, inoltre, potrebbe far esplodere la Cisgiordania e mettere in ginocchio la già provata economia israeliana, alimentata dai capitali stranieri.

Avendo pubblicamente appoggiato Israele a livello internazionale, ed essendo accorsi in suo aiuto, gli Usa non solo ne condividono i dilemmi strategici, ma si trovano impegnati contemporaneamente su due fronti militari (israeliano e ucraino). Il rischio di disperdere le forze è aggravato dalla fragilità politica e finanziaria che affligge l’amministrazione Biden in patria.

A livello regionale, Washington deve vincere una doppia scommessa: evitare che il conflitto di Gaza faccia deragliare definitivamente il suo progetto di pacificazione fra Israele e gli arabi (incarnato dai cosiddetti Accordi di Abramo che dovrebbero estendersi all’Arabia Saudita) e scongiurare un allargamento del conflitto che risucchi Hezbollah e gli altri alleati regionali dell’Iran.

La Casa Bianca ha dispiegato due portaerei e i loro rispettivi gruppi navali nel Mediterraneo orientale e caccia militari in Giordania, nella speranza di dissuadere l’asse iraniano. Ma nel caso di una violenta offensiva di terra che punti all’eliminazione di Hamas, ciò probabilmente non basterà. Israele si troverebbe in estrema difficoltà a combattere su due fronti, in particolare con una forza come Hezbollah, militarmente molto superiore ad Hamas. Ma un intervento statunitense a fianco di Tel Aviv provocherebbe attacchi alle basi Usa in Siria, Iraq e forse nel Golfo, spingendo l’intera regione verso l’ignoto.

L’unica alternativa a questo cul-de-sac strategico è un’opzione che i più considererebbero al momento impensabile: negoziare con Hamas.

* Autore del libro “Se Washington perde il controllo. Crisi dell’unipolarismo americano in Medio Oriente e nel mondo” (2017).
Twitter: @riannuzziGPC
https://robertoiannuzzi.substack.com/

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