Nelle sue dichiarazioni a margine del Consiglio europeo Giorgia Meloni dice la verità, ma riesce comunque a mentire: “Era già previsto che l’Agenzia delle Entrate possa pignorare i conti correnti. Nella legge di Bilancio non è stata prevista alcuna norma che prevede di poter prelevare direttamente dai conti correnti”. In sostanza è vero, perché l’Agenzia delle Entrate già oggi può pignorare i conti correnti e nella manovra non c’è una norma che consente di prelevare soldi direttamente: anche quella è già esistente, ovviamente all’esito di una procedura, sennò a cosa servirebbero il pignoramento? Nella legge di bilancio, invece, c’era in forma esplicita nella prima bozza e rimane in forma implicita in quella che arriverà in Parlamento la possibilità futura per l’agente della Riscossione di controllare se nel conto corrente ci sono soldi e andare così a colpo sicuro, velocizzando la procedura. Il resto è una supercazzola che Meloni e la sua maggioranza stanno vendendo al Paese cambiando le parole della legge.
COME FUNZIONA – Andiamo con ordine e ci scusiamo in anticipo per i tecnicismi. Stante che, come quasi tutti sanno, esiste il pignoramento per debiti con l’erario e che, però, la riscossione del dovuto in Italia viaggia su percentuali bassissime, la delega fiscale approvata in agosto dal governo Meloni (sic) prevede “la razionalizzazione, l’informatizzazione e la semplificazione delle procedure di pignoramento dei rapporti finanziari (…) anche mediante l’introduzione di meccanismi di cooperazione applicativa sin dalla fase della dichiarazione stragiudiziale del terzo, ai sensi dell’articolo 75-bis” eccetera. Ecco, qui siamo proprio al pignoramento dei conti correnti e – dice la delega di Meloni – che bisogna semplificare, informatizzare eccetera. E infatti la procedura iniziale non cambia: passato un anno dall’invio della cartella senza pagamenti o risposte di alcun genere del contribuente, inviata a quel punto una nuova notifica si comincia a capire come recuperare il dovuto (è sempre escluso l’ultimo stipendio).
LA PRIMA BOZZA – È a questo punto della procedura che interveniva la prima versione della legge di Bilancio, quella che oggi nessuno conosce, dicendo che “prima di procedere al pignoramento dei conti correnti (…) l’agente della riscossione può, in fase stragiudiziale, accedere alle informazioni relative alle disponibilità giacenti sui predetti conti”: se i soldi ci sono, si invia la richiesta alla banca e entro 30 giorni anche al debitore. I dettagli di come tutto questo sarebbe avvenuto andavano discussi tra Mef, associazione bancaria, Poste Italiane e Garante della privacy. Erano comunque esclusi i debiti inferiori a mille euro.
LA VERSIONE FINALE – Cosa c’è scritto allora nella formulazione attuale, quella che a Meloni e Salvini va bene? Questo: per velocizzare i pignoramenti e impedire “il pericolo di condotte elusive da parte del debitore, l’agente della riscossione può avvalersi, prima di avviare l’azione di recupero coattivo, di modalità telematiche di cooperazione applicativa e degli strumenti informatici, per l’acquisizione di tutte le informazioni necessarie al predetto fine, da chiunque detenute”. I dettagli saranno definiti in un decreto ministeriale eccetera. Tradotto: l’Agenzia della Entrate potrà controllare in via telematica se ci sono soldi o altro presso soggetti terzi, a partire dalle banche, prima di procedere al pignoramento. Esattamente quello che poteva fare anche nella prima bozza, solo detto con una formulazione molto più imprecisa (e paradossalmente, dunque, più pericolosa): la riscossione come se fosse Antani.