di Stefano Briganti

Quando Joe Biden divenne presidente degli Stati Uniti, suscitò scalpore la sua decisione di spostare l’area di “interesse” degli Usa dall’est Europa e Medio oriente, all’area dell’indo pacifico. La finalità, neppure troppo velata, di questo spostamento è quella di contenere e controllare la Cina che si profila una minaccia economica per gli Usa. Il fulcro e motivo ufficioso del dispiegamento delle ali a stelle e strisce su quell’area è la protezione della “democratica” Taiwan, dalle mire della Cina. Taiwan che, guarda caso, è il maggior produttore al mondo di materiale per i microchip, elementi vitali per i mercati in espansione.

Il conflitto russo-ucraino del 2022, scoppiato dopo anni di gestazione, ha dato la possibilità a Biden di dichiarare, o meglio confermare, la strategia di geopolitica globale che gli Usa hanno disegnato. In modo chiaro e inequivocabile la esprime a marzo 2022 con semplici ed efficaci parole davanti al Congresso Usa e poi ad un convegno con i vertici delle maggiori aziende Usa.

I passaggi chiave sono due: “Nel mondo è in atto una battaglia tra democrazia e autocrazia e la democrazia prevarrà” e “Siamo in presenza di un punto cruciale di quelli che si presentano di rado nella storia. C’è un nuovo ordine mondiale là fuori e gli Stati Uniti lo condurranno”. E’ ovvio che la battaglia della democrazia necessita di un nemico dal quale difenderla. Per questo motivo gli Usa stabiliscono quali sono le autarchie da cui difendersi e oggi chiede a chi fa parte del “club delle democrazie” di seguire Washington nella sua crociata, marciando compatti dietro al suo vessillo.

È qualcosa su cui gli Usa hanno lavorato per oltre mezzo secolo e i nemici da combattere per la democrazia furono il comunismo (Corea, Cuba e Vietnam), il terrorismo (Iraq, Iran, Afghanistan e Pakistan) e i dittatori (Libia, Siria). Tutti combattimenti fatti con le armi e i “boots on the ground” americani. Oggi sappiamo che queste guerre sono state in buona parte fallimentari nel raggiungere gli obiettivi ufficiali.

Il conflitto russo-ucraino segna una evoluzione della guerra “democracy vs autocracy”. Mentre finora Washington aveva schierato i suoi soldati e le sue armi, ora per la prima volta in Ucraina si portano solo le armi lasciando che altri mettano i soldati. Nasce la “proxy war”, un cambiamento epocale perché rende le guerre “democracy vs autocracy”, meglio digeribili dal popolo americano che non viene più in alcun modo coinvolto.

E’ il caso dell’Ucraina vs Russia (autocrate) e Israele vs Palestina/Hamas (terrorista). Gli Usa mettono sul tavolo quasi 200B$ di armi ma neppure un soldato. Inoltre Biden rassicura gli americani: “Noi inviamo armi dai nostri arsenali e i soldi che chiedo al Congresso verranno usati per rimpiazzarle. Queste armi sono fatte in America, in 12 Stati e daranno nuovi posti di lavoro”. Poco importa a Joe se le sue armi uccidono persone da qualche parte nel mondo, per l’america sono un business “America first”.

Il nuovo ordine mondiale nel quale gli Usa si ritagliano un ruolo “indispensabile al mondo” (Biden e Blinken dixit), per Washington resta il modello unipolare del quale dopo Bretton Woods gli Usa si sono posti a guida e guardiano.

Da allora molte cose sono cambiate e sta emergendo una nuova minaccia per la Casa Bianca: un modello multipolare. Un possibile nuovo ordine mondiale irricevibile perché abbracciato da paesi autarchici e perciò nemici: Cina, Russia, Iran, Emirati Arabi, Arabia Saudita.

Entriamo così in una “guerra di mondi” che se verrà gestita come tutti i conflitti, ovvero con la prevalenza della forza delle armi, porterà senza dubbio profonde fratture nelle relazioni tra grandi blocchi geopolitici: Usa-Ue-Uk-Giappone da una parte e Cina- Russia-Africa-Medio Oriente dall’altra. In un sistema le fratture sono l’antitesi della stabilità e questo prospetta un futuro dove l’instabilità sarà la norma da gestire. Per un mondo che si sta iper armando non è una bella prospettiva.

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