“Non credo che la gente di Gaza debba essere punita, come non credo che debba esserlo mia madre per colpa delle politiche del governo israeliano”. A parlare dalla sua casa a Haifa è Neta Heiman, figlia di Ditza, 84 anni, dal 7 ottobre ostaggio di Hamas insieme ad altre 229 persone. E proprio sulle persone sequestrate si gioca la partita per arrivare al cessate il fuoco. Nelle stesse ore in cui Netanyahu incontrava le famiglie, Hamas accusava Israele di essere stata titubante nella trattativa. Per poi tornare a chiedere la liberazione dei detenuti palestinesi in cambio della liberazione dei rapiti israeliani. Hamas, peraltro, ha fatto sapere che il gruppo ha bisogno di tempo per rintracciare i sequestrati. Questo perché, ha spiegato al quotidiano russo Kommersant Abu Hamid, delegato del gruppo in visita in Russia, “nell’attacco del 7 ottobre erano coinvolte varie fazioni palestinesi”.
Sono un centinaio di famiglie che attendono la liberazione dei propri cari. “Ma di tutto questo non dobbiamo incolpare gli abitanti di Gaza”, spiega la Heiman, intervistata dall’agenzia Anadolu. “Anche loro soffrono a causa di Hamas, forse più di noi”. La madre, Diza, viveva nel Kibbuz di Nir Oz quando è stata sequestrata, insieme ad altri abitanti della colonia, dai miliziani del gruppo fondamentalista.
Al momento, il destino di queste persone rimane incerto. Secondo quanto diffuso da un comunicato dell’organizzazione radicale palestinese, sarebbero almeno 50 gli ostaggi morti a seguito dei bombardamenti dell’aviazione israeliana sulla striscia di Gaza. Insieme a questo numero, si aggiunge il bilancio che si aggrava di ora in ora dei civili palestinesi vittime delle incursioni aeree dell’aviazione di Tel Aviv.
Ma tutti questi bombardamenti non avranno alcun effetto. Ne è convinta la Heiman: “Ad Hamas non importa della gente di Gaza”. E aggiunge, impugnando una foto della madre: “Se a loro interessasse la situazione e la mancanza di cibo, medicinali ed elettricità; allora avrei detto anche io: non dategli cibo e medicinali, così da metterli alle strette”. La verità, denuncia, è che “le priorità oggi sono altre”. Per la comunità internazionale “vengono prima i cittadini americani o europei, mentre mia madre è solo una israeliana”.
Ad essere critici contro l’operato del governo di Netanyahu sono anche altre famiglie di ostaggi. “Siamo devastati dalla perdita dei miei genitori, ma stiamo portando avanti la loro eredità in cui guardiamo oltre all’odio” dice Magen Inon, intervistato da The Independent. I suoi genitori, Bilha, 75 anni e Yakov, 78 anni, sono stati uccisi durante l’attacco del 7 ottobre. “Non siamo sicuri quale sia la strada giusta – aggiunge Inon –, ma siamo fiduciosi che l’obiettivo sia quello di raggiungere una pace duratura”.
A condividere questo appello c’è anche un padre: Yaakov. La figlia, Noa Argamani, 26 anni, stava partecipando al Supernova Music Festival quando i miliziani hanno attaccato. In un video circolato in rete, e poi ripreso dai giornali, si vede la ragazza gridare mentre viene fatta salire su di una moto da alcuni miliziani di Hamas, in direzione di Gaza. “Dobbiamo essere onesti: anche a Gaza ci sono famiglie in lutto per i loro figli” spiega Yaakov intervistato dal giornale israeliano Haaretz. Anche lì “ci sono padri in pensiero per i loro figli. Cosa pensiamo di raggiungere con altri morti? Soffrono anche loro, proprio come noi”.