“Non riesco più a pagare la rata del mutuo che, per effetto dell’aumento dei tassi, si è quasi raddoppiata. Cosa devo fare?”. Si tratta di una delle domande che mi vengono rivolte più frequentemente da circa 6 mesi. Come già scritto su queste pagine qualche settimana fa, dopo aver schivato le tre supercazzole che i bancari tentano di rifilare nelle conversazioni tenute con i clienti che si lamentano per l’aumento delle rate di mutuo (a tasso variabile) per effetto del continuo innalzamento del costo del denaro deciso dalla Bce per combattere l’inflazione (+4% in un anno), non vi rimane che una sola strada.

Ma prima di rispondere a questa domanda, è importante passare in rassegna i criteri in base ai quali una banca misura l’affidabilità di un cliente privato, per poi decidere se concedere o meno un prestito.

Il primo criterio per la concessione di un finanziamento riguarda la capacità reddituale del richiedente (ovvero i suoi introiti). Il secondo criterio – che tuttavia conta molto poco nei sistemi di rating creditizi – è la sussistenza di un’eventuale garanzia: se il beneficiario del mutuo non paga il suo debito, su cosa potrà rivalersi la banca? Per esempio sull’immobile acquistato, che può essere soggetto a ipoteca, oppure su una somma di denaro costituita in pegno. La capacità reddituale viene esaminata dall’istituto di credito per individuare quale parte sia potenzialmente destinabile al rimborso del finanziamento.

Immaginiamo che il Sig. Esposito abbia un reddito mensile di 2.500 euro e altri impegni finanziari (rate di prestiti pregressi) pari a 150 euro al mese. Il suo reddito disponibile, quindi, è di 2350 euro. Per determinare il reddito minimo necessario (detto “cash flow operativo”) che chi richiede un prestito dovrebbe avere, le banche adottano un criterio di calcolo più o meno standardizzato, secondo il quale l’ammontare annuo delle rate non deve essere superiore:
– al 30-35 per cento del reddito disponibile, se si tratta di un mutuo ipotecario (nel nostro esempio, la rata mensile non avrebbe dovuto essere superiore a 822 euro);
– al 55-60 per cento del reddito disponibile, se si tratta di un prestito senza garanzia ipotecaria (nel nostro esempio, la rata mensile non avrebbe dovuto essere superiore a 1410 euro).

In altri termini, nel caso di un mutuo ipotecario si suppone che una rata corrispondente al 30-35 per cento del reddito disponibile sia un’ottima garanzia. Con il restante 70 per cento il cliente della banca potrà provvedere senza problemi alle spese correnti.

Ebbene secondo i dati pubblicati da Facile.it, circa il 20% dei mutuatari che nel 2022 hanno richiesto un mutuo casa a tasso variabile oggi non potrebbe ottenere lo stesso finanziamento. Colpa dei tassi di interesse, che facendo aumentare la rata mensile prevista rendono il mutuo non in linea con la capacità di rimborso del soggetto. In altre parole, per mantenere il rapporto rata reddito-mutuo coerente oggi serve uno stipendio più alto di quello richiesto nel 2022. Tale incremento del reddito necessario per la concessione del credito si quantifica in una misura del 27%.

A questo punto la domanda iniziale diventa retorica: cosa può fare il Sig. Esposito? Non ci crederete, ma la legge, se bene interpretata (dai giudici e dai consulenti), è dalla sua parte. È la legge sul “sovraindebitamento”, spesso diretta conseguenza del sovrafinanziamento (l’erogazione di un importo eccedente i limiti di prudenza di una banca), ormai relegato dalla Corte di Cassazione (novembre 2022) a mero illecito senza conseguenze per le banche.

La crisi economica, che produce i suoi effetti in particolare sulla vulnerabilità finanziaria delle famiglie e delle imprese, ha evidenziato la criticità per tutto il sistema creditizio dei fenomeni di sovraindebitamento e, in generale, dell’insolvenza. La situazione economica che si è venuta a creare dopo la crisi del 2008 ha fornito al legislatore forti impulsi per colmare il deficit normativo vigente nel nostro paese riguardo il problema del sovraindebitamento di tutti quei soggetti esclusi dall’ambito di applicazione delle procedure di ripianamento del debito previste dalla legge fallimentare. Così, nel 2012 (e con tante successive modifiche), anche l’Italia si è finalmente dotata di una disciplina legislativa volta a favorire la composizione delle crisi e delle insolvenze.

La legge detta “Salva suicidi” ha introdotto misure strutturali dedicate a quei soggetti non fallibili che, anche a causa di emergenze economiche, vengano a trovarsi in una situazione di grave squilibrio patrimoniale e finanziario, riconoscendo loro l’opportunità, in presenza di determinate condizioni, di avere rimessi i propri debiti per ripartire da zero e di riacquistare un ruolo attivo nell’economia senza restare schiacciati dal carico dell’indebitamento preesistente. Il debitore insolvente o il consumatore sovraindebitato che intendano tentare la sistemazione della propria situazione debitoria possono rivolgersi a un organismo, appositamente istituito, di composizione della crisi o, in alternativa, al tribunale territorialmente competente. In particolare, la legge prevede che, al fine di porre rimedio alle situazioni di sovraindebitamento, sia consentito al debitore di concludere un accordo con i creditori che possa prevedere una soddisfazione parziale del debito o anche una dilazione del pagamento.

Ma cosa si intende per consumatore sovraindebitato? Si intende, secondo la legge, un cittadino che vive una situazione di perdurante squilibrio tra i suoi debiti e il suo patrimonio prontamente liquidabile per farvi fronte; squilibrio che determina la rilevante difficoltà di adempiere le proprie obbligazioni.

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