Per stabilire dove si è consumato il presunto aggiotaggio informativo contestato ai vertici della Juventus e, di conseguenza, dove deve radicarsi il processo, i giudici di Cassazione hanno guardato “all’ultimo luogo in cui è avvenuta una parte dell’azione”: Roma, dove si trovano i server della società che gestiva lo Sdir per conto del club e dove il 20 settembre 2019 transitò e fu “stoccato” il comunicato che secondo i pm di Torino conteneva informazioni “mendaci” sui bilanci della società bianconera.

È quanto scrivono i giudici della quinta sezione penale nelle motivazioni della sentenza con cui, lo scorso 6 settembre, hanno trasferito per competenza territoriale da Torino a Roma il processo Prisma, che vede alla sbarra sette persone con accuse che vanno dall’aggiotaggio informativo (il più grave contestato ai vertici del club e quello che “traina” la competenza territoriale) all’emissione di fatture per operazioni inesistenti. Tra loro l’ex presidente Andrea Agnelli, il vice Pavel Nedved, l’ex responsabile dell’area sportiva e diversi manager che avevano in carico la gestione finanziaria, nonché il capo dell’ufficio legale e procuratore legale rappresentante del club, mentre la società risponde in veste di persona giuridica.

Nel mirino dei pubblici ministeri Marco Gianoglio e Mario Bendoni della procura di Torino, che hanno aperto il fascicolo nel 2021, sono finiti i rendiconti degli anni 2019-2021 e i contratti di compravendita di alcuni giocatori che avrebbero permesso di iscrivere a bilancio plusvalenze fittizie (il capitolo cosiddetto “manovra stipendi”). L’udienza preliminare si è aperta a marzo 2023, ma il 10 maggio scorso il gup Marco Picco ha sospeso il processo e trasmesso gli atti alla Cassazione a seguito di un’eccezione di incompetenza territoriale presentata dal pool legale della Juve, come prevede l’articolo 24 bis del Codice di procedura penale post riforma Cartabia. A settembre gli ermellini hanno sposato la tesi del pool legale della Juve, guidato dall’avvocato Maurizio Bellacosa, e rigettato quella del Sostituto procuratore generale della Cassazione Luigi Cuomo, secondo cui il “locus commissi delicti” era Milano “in quanto luogo dal quale la comunicazione è stata diffusa al mercato” e ha assunto una “connotazione di concreto pericolo per gli investitori”.

Con le motivazioni depositate oggi però i supremi giudici precisano ulteriormente il ragionamento che sta dietro alla decisione, di natura prettamente giuridica e che muove dall’analisi della fattispecie prevista dall’articolo 501 del Codice penale. Quella che punisce chi pubblica o divulga notizie false per alterare l’operatività dei mercati regolamentati, creando le condizioni per rialzi o diminuzioni nei prezzi dei titoli. Se, come ha più volte stabilito la giurisprudenza, la competenza territoriale dell’aggiotaggio informativo si radica nel luogo dove si è consumata la prima diffusione della notizia “qualificata”, questo momento nel caso di specie corrisponde con il rilascio della “ricevuta di avvenuta diffusione” del comunicato incriminato ad almeno due media, di cui uno europeo. Questa ricevuta virtuale viene emessa dallo Sdir, una piattaforma autorizzata dalla Consob e gestita da un ente privato, che osserva un “rigido protocollo tecnico cristallizzato dalle norme regolamentari” tra cui il regolamento europeo 596/2014 e una delibera Consob del 2017. In questo senso, l’upload del file pdf da parte del club (avvenuto a Torino a opera di una delegata della Juve) ha rappresentato solo la fase iniziale di più passaggi virtuali svoltisi in appena 34 secondi, durante i quali il file è transitato per i server romani (dov’è stato stoccato) ed è diventato “accessibile al pubblico e liberamente consultabile”.

“Plurimi elementi fattuali – scrivono i giudici della Corte – militano a favore della tesi” che la ricevuta sia stata rilasciata “grazie all’intervento delle energie umane” del personale della società che operava sullo Sdir per conto del club, con sede a Milano, ma dalla lettura degli atti ciò non emerge con certezza. Per questo, concludono, il reato si intende consumato nell'”ultimo luogo in cui è avvenuta una parte dell’azione”, ovvero la Capitale.

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