Temono l’espansione del conflitto nella regione e insistono sulla responsabilità di Israele di proteggere le vite dei civili di Gaza, usando “tutte le misure possibili” per tracciare una linea di separazione dai jihadisti responsabili degli attacchi del 7 ottobre. Se nelle scorse settimane gli Stati Uniti avevano a più riprese invitato Tel Aviv a una risposta “proporzionata” rispetto agli attentati di due settimane fa, ora si fa più martellante il pressing della Casa Bianca sul premier Benyamin Netanyahu, al quale Washington chiede anche di “tenere a freno i coloni” perché – ha avvertito il consigliere alla sicurezza nazionale Jake Sullivan – è “totalmente inaccettabile” l’aumento della violenza a cui si sta assistendo in Cisgiordania.
E oggi è intercorsa la prima telefonata tra i due leader da quando le forze israeliane sono entrate nella Striscia: un colloquio dove Biden ha ribadito a Netanyahu la posizione americana, cercando di moderare il più possibile quella del suo interlocutore di fronte al rischio che il conflitto infiammi tutta la regione. E ancora una volta, pur riconoscendo che “Israele ha ogni diritto e responsabilità di difendere i suoi cittadini dal terrorismo”, la Casa Bianca ha messo in evidenza che “è necessario che lo faccia in linea con le leggi umanitarie internazionali che danno la priorità alla tutela dei civili”. Biden ha poi toccato anche il punto degli aiuti, troppo spesso bloccati oltre il valico di Rafah, e sottolineato la necessità di aumentare il flusso dell’assistenza umanitaria a Gaza in modo “immediato e significativo”.
Il coro di critiche e polemiche alla risposta israeliana sta crescendo, così come si stanno moltiplicando le manifestazioni pro-palestinesi negli Stati Uniti, i cui toni sono saliti con il blocco delle comunicazioni a Gaza, di cui gli Usa avrebbero poi imposto il ripristino. Oltre a temere un indebolimento dell’appoggio internazionale allo Stato ebraico, Biden è preoccupato dalla spaccatura profonda dell’opinione pubblica, che con la sua presidenza si era proposto di risanare. Per cercare di placare le tensioni, il presidente in settimana ha ricevuto in sordina alla Casa Bianca i leader musulmani. Lo ha fatto senza annunci pubblici, irritando molti dei partecipanti.
Nonostante il silenzio dell’amministrazione, i presenti hanno tuttavia riferito di aver chiesto il cessate il fuoco immediato e di essersi lamentati per la mancanza di “empatia” a loro dire dimostrata dal presidente per i civili vittime del conflitto e anche per i musulmani americani discriminati in patria. “Biden deve fare attenzione” perché il suo atteggiamento su Israele rischia di costargli nel 2024 il voto dei musulmani, ha avvertito la deputata democratica progressista Pramila Jaypa. Le accuse più dure gli sono arrivate da Donald Trump, che ha scaricato sulle “debolezze di Biden” la colpa dell’attacco di Hamas dal quale si è scatenato – ha detto usando le stesse parole di Netanyahu – uno scontro “fra il bene e il male”.
Criticato da più parti e con la sua campagna elettorale alle prese con due guerre e una spirale di problemi interni, Biden va avanti nel tessere la sua tela diplomatica per evitare che il conflitto si ampli in tutto il Medio Oriente, con il rischio che gli Stati Uniti vi siano risucchiati. La Casa Bianca teme infatti un allargamento del conflitto e, pur nella consapevolezza che il margine di errore è limitato, spera che la diplomazia e la lunga esperienza di Biden possano evitare il peggio. In quest’ottica il presidente ha inviato un messaggio direttamente alla Guida suprema iraniana Ali Khamenei, e nelle prossime ore il ministro della Difesa saudita sarà a Washington. In novembre potrebbe poi incontrare il presidente cinese Xi Jinping a San Francisco.
Nel frattempo gli Stati Uniti continuano anche a lavorare per il rilascio degli ostaggi. “Le trattative proseguono, stiamo affrontando una situazione simile con i cittadini americani e di altre nazionalità intrappolati a Gaza”, ha detto il consigliere alla Sicurezza Nazionale della Casa Bianca, confermando l’apertura di Washington ad una “pausa umanitaria” per la loro liberazione. Sullivan ha quindi ribadito che gli Stati Uniti risponderanno se saranno ancora attaccati dai gruppi di miliziani legati all’Iran: “Restiamo vigili perché vediamo elevate minacce alle nostre forze nell’area e un elevato rischio che questo conflitto si allarghi ad altre aree della regione”.