“La musica è finita” è il nuovo disco del cantautore, anticipato dal brano anonimo e da “Anime Perse”. Tra le collaborazioni dell'album Willie Peyote, Giovanni Truppi, Jeremiah Fraites e Ginevra
La musica non è finita perché poi riparte, si trasforma, si evolve, cambiano le parole (grazie anche alla terapia) e il sound. Motta è tornato con “La musica è finita” che apre, per la prima volta per il cantautore, a collaborazioni con colleghi come Willie Peyote, Giovanni Truppi, Jeremiah Fraites e Ginevra. Il tour nei club parte dal The Cage di Livorno il 27 ottobre e prosegue per tutto il mese di novembre.
Il titolo del tuo disco è una citazione de “La musica è finita” di Ornella Vanoni?
Quella canzone ormai è un modo di dire talmente intrinseco nella nostra cultura, che è una casualità fino ad un certo. Ma era un ottimo punto sintesi di questo disco.
Nella canzone che dà il titolo canti “non serve più pregare. Gesù è senza via d’uscita”. Una visione pessimista del momento che stiamo vivendo?
Il fatto di credere in qualcosa e in un certo tipo di valori non è una cosa che va molto di moda, mentre va molto di moda negli ultimi anni non prendere posizione. Ed è una cosa che mi disturba perché c’è anche un disincanto politico.
Cosa sta accadendo?
Se pensiamo ai discorsi da bar degli Anni 70 e 80, c’era una vicinanza maggiore tra i discorsi che si facevano e la politica. Adesso queste cose qui sono molto distanti. Non è un caso che nel mio mestiere si parli molto meno di politica. Prima venivano giudicati i cantautori che non prendevano posizioni, adesso fa comodo non prendere posizione.
Perché fa comodo non schierarsi?
Parlare di certe cose vere e importanti può essere poco accattivante. Oggi spesso invece si parla di cose di cui parlano tutti. Secondo me, l’atto rivoluzionario deve essere rivoluzionare nel momento in cui è scomodo. Se invece insegui una battaglia che va di moda, allora è solo farlocca.
Qual è la tua posizione?
Nonostante non mi senta rappresentato dalla politica, credo in un certo tipo di valori di Sinistra e non mi vergogno a dirlo, anche se va poco di moda dire questa cosa. Il fatto che uno non si senta rappresentato non significa che abbia meno valori. Un tempo c’era una politica diversa e diversi erano i politici.
Sei d’accordo con il presidente della Campnia, De Luca, che a Fazio ha detto: “Il PD deve cambiare linguaggio”?
Ci sono temi che non vengono trattati da troppo tempo. Sono abbastanza d’accordo. Aggiungo anche che c’è tantissima voglia in questo Paese di vedere qualcuno che faccia qualcosa di sinistra
In “Per non pensarci più” inviti te stesso alla leggerezza?
L’ultima canzone che ho scritto e, non a caso, il più leggero del disco. Ho conquistato la leggerezza con grande fatica.
Come mai hai fatto fatica?
Ad un certo punto c’è stato un bisogno, per me necessario, di andare a scavare nelle cose che mi facevano star male dal punto di vista della scrittura e questa cosa qua mi ha fatto stare meglio. Ho cambiato argomenti.
Ti ha aiutato la terapia?
Sì. La prima volta sono andato in terapia è stato durante il lockdown ed era assolutamente necessario. Era un percorso diverso da quello che sto facendo adesso. Nel primo caso facevo terapia cognitivo comportamentale, dopo ho cambiato. È stata molto utile. Prima avevo anche la presunzione di pensare che lo scrivere fosse un processo auto-terapia invece la terapia è una cosa seria. Una cosa non esclude l’altra.
Perché è importante?
Ha molta importanza per chi fa questo mestiere togliersi un certo tipo di autoreferenzialità. Forse uno dei miei primi errori di scrittura è stato comunicare: ‘Non mi capisce nessuno’. In qualche modo aiuta la terapia aiuta a distaccarsi da questo punto di vista e anche a rompere meno le scatole le persone che mi stanno attorno.
È difficile lavorare con te?
Difficile dirlo, dovresti chiederlo a chi lavora con me (ride, ndr). Diciamo che ci sono momenti di grande fragilità quando faccio dischi e in quei momenti lì rischio di essere abbastanza insopportabile, a volte.
Nel 2019 hai partecipato al Festival di Sanremo con “Dov’è l’Italia”, vincendo il premio per il miglior duetto insieme a Nada. Ci torneresti?
Dipende da tante cose e se c’è un pezzo credo tantissimo perché no? Detto questo non dipende esclusivamente da me.
Sei legato dal 2017 all’attrice Carolina Crescentini. Non siete mai finiti nel vortice del gossip. Come mai?
C’è un grande rispetto fortunatamente sia per me che per lei. Ho una grossa stima per Carolina anche perché non si è mai tirata indietro rispetto a certe battaglie. Sia io che lei ci battiamo per le stesse cose ed è chiaro il nostro pensiero, questo crea la libertà che abbiano.
In cosa consiste questa libertà?
Che nel suo caso si parli molto più dei suoi film e nel mio caso della musica. Per me è meraviglioso non diventare argomento di dibattito.