di Riccardo Bellardini
Netanyahu scomoda termini forti, biblici. Tira in ballo il sommo bene, da sempre contrapposto all’oscuro male. Il paradiso contro l’inferno. Ma l’attacco di terra contro Gaza, più volte annunciato e ormai destinato a realizzarsi, non produrrà luci celestiali e cori angelici. Solo sangue, fiumi di sangue. I palestinesi reclusi nella Striscia, con la vita controllata e la libertà sospesa, dovranno subire, dopo la compressione delle loro esistenze, divenuta abitudine nel corso degli anni, una punizione collettiva senza precedenti.
Una barbarie nel delirio di una guerra che è riesplosa, ma mai si era davvero fermata, in quella terra santa martoriata, quanto e forse più dell’Ucraina… Ma, a proposito di Ucraina, c’è ancora la guerra lì?
“Vincerà il bene”. Così ha sentenziato fieramente Benjamin. Rappresentante dello Stato che porta il nome di quello che secondo le sacre scritture fu eletto popolo di Dio. Ma Dio, cosa penserebbe di tutto ciò? Davvero potrebbe accettare una tale violenza?
Com’era prevedibile, alla follia di Hamas, alle sue stragi cruente, ha risposto Israele, con altrettanta follia e veemenza. Dall’organizzazione politico-militare avvolta dagli influssi del terrorismo islamista, in poco tempo, l’obiettivo si è spostato, di fatto, su un intero popolo, da cancellare, come se non fosse già cancellato, nella sua anima, dopo anni di confinamento.
L’operazione di terra invocata da Bibi, potrebbe generare una catastrofe umanitaria senza precedenti. Perfino gli Stati Uniti, stavolta si defilano. La posizione ufficiale rimanda ad una mancata comprensione della strategia israeliana. Possibile che gli onniscienti americani, non abbiano capito le intenzioni di Netanyahu? Più probabile che siano rimasti spiazzati dall’evoluzione degli eventi. Stavolta rinunciano a guidare la crociata del mondo occidentale contro il nemico comune, a recitare il ruolo dei salvatori, dei garanti della giustizia.
Si è presto abbassata pure la cresta del galletto Macron, che aveva parlato, come niente fosse, dell’ipotesi di costituire una coalizione internazionale, sulla scia di quella anti-Isis, per combattere Hamas. In effetti, in una situazione che degenera sempre più, abbiamo proprio bisogno di aerei occidentali che sganciano bombe qua e là, su un territorio già dissestato.
Si alza intanto in Europa il grido forte della gente, che riempie le piazze per esprimere solidarietà alla Palestina. Per chiederne la libertà. Non sono piazze d’odio, come vorrebbe far credere la destra. Ma piazze di consapevolezza. Quello che si chiede, è che venga trovata una soluzione a una questione rimasta irrisolta da decenni. La Palestina, come Israele, ha diritto ad un suo stato e a una sua indipendenza. Solo così verrà fermato lo spargimento di sangue. “La soluzione è due popoli e due Stati”, lo ha detto anche Giorgia Meloni, come tanti altri leader, che amano ripeterlo un giorno si e l’altro pure. Ma a parte le dichiarazioni altisonanti, c’è speranza che ci si sforzi davvero per trovare una via d’uscita?
Nel frattempo, quelle che vediamo a ripetizione su social e telegiornali, sono immagini strazianti. Violenza inaudita e bambini che vivono nel terrore. La consapevolezza sull’abominio, aumenta sempre più, ed è visibile soprattutto, come detto prima, nella voce della gente comune che scende in strada. Come accaduto alla stazione Gran Central di New York, dove un gran numero di manifestanti ebrei, con indosso una maglietta nera su cui campeggiava la scritta “non in mio nome”, ha intasato lo snodo principale della grande mela.
Non sono dalla tua parte tutte quelle persone, caro Benjamin. Parli di una guerra che sarà “lunga e difficile”, quando sai benissimo che si rivelerà un confronto impari. Alla feroce violenza dell’attacco iniziale di Hamas, stai per rispondere con quello che potrà rivelarsi, molto probabilmente, l’annientamento di un intero popolo. Il mondo non è con te, non è dalla tua parte, caro Bibi.