E tre. Dopo Ford e Stellantis anche General Motors cede alle richieste del sindacato dei lavoratori dell’auto statunitensi (Uaw). Lo scrive l’agenzia Bloomberg citando fonti vicine al dossier. Quasi 50 giorni di scioperi (il sindacato si era preparato con fondi di solidarietà per sostenere il reddito dei lavoratori) hanno sortito l’effetto sperato: aumenti degli stipendi a doppia cifra e importanti concessioni sulle condizioni di lavoro. Il primo colosso a cedere era stata Ford accettando di corrispondere aumenti di retribuzioni di almeno il 30%. Sabato scorso l’accordo con Stellantis, anche in questo caso con incrementi medi delle buste paga del 25% ed oltre. Lunedì l’ultimo tassello con l’ok di General Motors.La piattaforma rivendicativa del sindacato era estremamente ambiziosa ma non inverosimile.
Negli ultimi dieci anni i tre big dell’auto Usa hanno incamerato profitti cumulati per 250 miliardi di dollari. E mentre le buste paga dei manager sono lievitate del 40%, gli stipendi degli operai sono rimasti pressoché al palo. Il sindacato Uaw, rinnovato nei vertici e con nuove linee strategiche, ha condotte un’azione rivendicativa piuttosto sofisticata. Tra i circa 150mila addetti del settore lo sciopero si è propagato solo gradualmente andando inizialmente a colpire i punti nevralgici della filiera produttiva. Durante la mobilitazione i lavoratori hanno raccolto molti sostegni da parte della politiche e hanno sempre goduto del sostegno dell’opinione pubblica. Il tutto è culminato con la decisione del presidente Joe Biden di recarsi ad un picchetto per sostenere le rivendicazioni dei lavoratori. Mossa replicata dallo sfidante ed ex presidente Donald Trump.