Il giocattolo degli investimenti Esg (in teoria rispettosi di criteri ambientali e sociali) si sta rompendo. Spinti all’inverosimile da qualsiasi banca o sgr quando i tassi erano a zero, e trovare investimenti con rendimenti dignitosi era un’impresa, il risultato è stato quello di inondare il mercato di prodotti con caratteristiche poco chiare e che spesso non restituivano quanto promesso. Si aggiunga che, con le vicende geopolitiche degli ultimi due anni, i prezzi di gas e petrolio sono schizzati e così il valore delle azioni delle compagnie petrolifere o minerarie, l’antitesi dell’Esg. Così, chi non aveva solidissime convinzioni etiche alla base dei suoi investimenti e si è visto sorpassare sulla destra da chi aveva scelto i campioni del fossile e delle emissioni di Co2, ha masticato molto amaro.

Il mutamento di umore è fotografato dalla consueta indagine Ipsos sul risparmio degli italiani, presentata in occasione della giornata del risparmio dell’Acri. Nel rapporto si legge che cala, fra i risparmiatori italiani, l’interesse per gli investimenti su attività “con impatto positivo sull’ambiente e la società che mettano il rendimento in secondo piano“. La quota di chi investirebbe su queste attività è scesa dal 22 al 20%. “Per un risparmiatore privato, i prodotti Esg, si sottolinea, scontano rispetto ad altre forme di investimento, in primis i titoli di stato, una minore percezione della solidità del proponente e una minore chiarezza delle proposta”.

Più in generale il rapporto segnala come l’inflazione e l’aumento dei tassi della Bce hanno indirizzato il risparmio degli italiani verso investimenti con rendimenti più elevati senza rinunciare però alla sicurezza. Con queste premesse non possono che svettare i titoli di Stato: il 36% dichiara di investire nei bond sovrani una parte dei risparmi rispetto al 34% nel 2022. La quota di chi vuole strumenti più sicuri passa dal 23 al 38%. La scelta dei titoli di Stato o altro, va a scapito soprattutto della liquidità (i soldi tenuti sul conto, ndr), che passa dal 35% al 26% e di strumenti più rischiosi come l’azionario che scendono dal 10% dello scorso anno al 7% del 2023.

I risparmi accumulati, anche grazie al periodo del lock down, permettono a molti italiani di fare fronte a spese impreviste con mezzi propri e con una certa tranquillità per piccoli importi. Si tratta di un numero in lieve crescita rispetto allo scorso anno: 77% le famiglie in grado di far fronte a spese non programmate pari a 1.000 euro (75% nel 2022). Risulta, invece, più difficile affrontare spese impreviste di entità importanti, stante il perdurare di un elevato tasso di inflazione e la volontà di mantenere i propri consumi: il 36% delle famiglie è in grado di fare fronte a spese non programmate di 10.000 euro, in lieve calo rispetto al 2022 (39%).

L’aumento dei tassi di interessi della Bce per contrastare l’inflazione “ha messo in difficoltà molte famiglie e imprese che si sono trovate a pagare interessi più alti su mutui, prestiti, e finanziamenti” e che ora “sono tra le più critiche verso l’Ue”. Rispetto allo scorso anno, “si indebolisce la fiducia nell’Unione Europea e nell’euro, sostenuta comunque dalle nuove generazioni: i dati evidenziando una polarizzazione tra chi ha fiducia nelle azioni e nelle scelte che verranno prese e chi no (51% si fida vs 49% non si fida)”.

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