Era nell’aria da tempo e alla fine è arrivato: oggi, 30 ottobre, Meta, società madre di Facebook, Instagram e Whatsapp, ha annunciato ufficialmente con un lungo post il lancio della versione pagamento, in Europa, delle sue piattaforme. Il social network offrirà agli utenti la possibilità di pagare un abbonamento mensile per utilizzare Facebook e Instagram senza pubblicità. In alternativa, si legge, possono continuare a utilizzare questi servizi gratuitamente ma continuando a ricevere annunci pubblicitari targettizzati sui gusti e l’attività online. Sui dati, insomma.

L’annuncio. Le scelte saranno due: o si paga e non si viene profilati per la pubblicità o si naviga gratuitamente ma con gli annunci. “Crediamo in un Internet libero e supportato dalla pubblicità e continueremo a offrire alle persone accesso gratuito ai nostri prodotti e servizi personalizzati indipendentemente dal reddito” ha spiegato Meta in una nota, assicurando che “sia che le persone scelgano di utilizzare i prodotti gratuitamente o di abbonarsi, ci impegniamo a mantenere le informazioni delle persone private e sicure, in base alle nostre politiche e al Regolamento generale sulla protezione dei dati (GDPR) dell’UE”. Restano quindi disponibili gli attuali strumenti di preferenza sugli annunci e la possibilità di modificare alcuni parametri sulla pubblicità che si riceve, per le aziende quella di poter contare su annunci personalizzati.

Quanto costerà. Il costo previsto è di 9,99 euro al mese sul web o 12.99 euro al mese su iOS e Android e l’abbonamento varrà per tutti gli account Facebook e Instagram collegati nel Centro account di un utente. Il prezzo potrebbe variare a seconda delle commissioni degli store di Apple e Google e comunque sarà a tempo limitato. Da marzo 2024, infatti, sarà applicata una tariffa aggiuntiva di 6 euro al mese sul Web e di 8 euro al mese su iOS e Android per ogni account aggiuntivo.

Perché. La decisione è conseguenza dell’entrata in vigore della serie di sentenze sfavorevoli e dei nuovi regolamenti Ue sul trattamento dei dati degli utenti, diventati molto più stringenti negli ultimi mesi al punto da portare Big Tech a ripensare ai loro piani di business, con ricavi pubblicitari a rischio. “Abbiamo apportato questa modifica per far fronte a una serie di requisiti normativi in ​​evoluzione ed emergenti nella regione – spiega Meta – . Ciò include il modo in cui il nostro principale regolatore della protezione dei dati nell’UE, la Commissione irlandese per la protezione dei dati, interpreta il GDPR a seguito di una recente sentenza della Corte di giustizia dell’Unione europea (CGUE) e anticipando l’entrata in vigore del Digital Markets Act (DMA)”.

La sentenza. La sentenza in questione (arrivata oltretutto poco dopo la maxi-multa da 1,2 miliardi di dollari comminata dall’autorità garante della privacy irlandese per trasferimento illecito di dati personali degli utenti negli Stati Uniti) nasceva da un contenzioso tra l’antitrust tedesco e Meta, che aveva fatto ricorso contro la decisione dell’Oberlandesgericht Düsseldorf, il Tribunale superiore del Land di Düsseldorf, di vietare di subordinare l’uso di Facebook per gli utenti tedeschi al trattamento dei propri dati senza consenso. In particolare, si concentrava sugli ‘off-Facebook data” cioè quelli che riguardano l’attività di navigazione dell’utente, dalla consultazione di pagine Internet alle applicazioni di terzi o quella su altri servizi online appartenenti al gruppo Meta, come Instagram e WhatsApp.

L’escamotage. Ora, proponendo un’alternativa, Meta ritiene di poter operare con maggiore tranquillità. “Bilancia i requisiti delle autorità di regolamentazione europee offrendo allo stesso tempo agli utenti la scelta e consentendo a Meta di continuare a operare” visto che “nella sua sentenza, la CGUE ha espressamente riconosciuto che un modello di abbonamento, come quello che stiamo annunciando, è una forma valida di consenso per un servizio finanziato dalla pubblicità” spiega l’azienda. La possibilità è infatti inserita proprio nella sentenza, una frase al paragrafo 150 in cui si afferma che deve essere prevista un’alternativa a annunci “se necessario per una tariffa adeguata”.

I rischi. Già da tempo alcune Ong stanno mettendo in guardia su questa pratica che, a partire da Noyb, lo European Centre for Digital Rights, definiscono “Pay for your rights”, pagare per qualcosa che dovrebbe in realtà essere garantito come diritto ovvero la libera decisione sull’impiego dei propri dati online. Per poter godere dei diritti fondamentali, spiega l’organizzazione, bisogna pagare la cifra esorbitante di 168 dollari (160 euro) all’anno. “I diritti fondamentali non possono essere messi in vendita. Pagheremo poi per il diritto di voto o per il diritto alla libertà di parola? – ha detto il promotore Max Schrems: – Ciò significherebbe che solo i ricchi possono godere di questi diritti, in un momento in cui molte persone lottano per sbarcare il lunario. Introdurre questa idea nell’ambito del diritto alla protezione dei dati rappresenta un cambiamento importante. Combatteremo questo problema in ogni tribunale “.

Le conseguenze. Come abbiamo raccontato anche sul numero di Millennium attualmente in edicola, la stretta normativa potrebbe avere effetto contrario. Pur di non pagare o comunque non potendo permetterselo, ha spiegato ad esempio Guido Scorza, del garante privacy italiano, ci sarà un probabile via libera plebiscitario alla profilazione. In pochi accetteranno di pagare e a ogni futura contestazione le piattaforme potranno opporre il via libera ottenuto dall’utente con un aut aut. L’alternativa è smettere di utilizzare i social network. Ma quanti sarebbero disposti a farlo?

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