Ci sono gli avvertimenti dell’esercito ignorati da Netanyahu, un sistema di controllo e sicurezza gestito quasi esclusivamente dalle macchine e, soprattutto, un buco informativo lungo un anno dietro al fallimento del sistema di sorveglianza israeliano che ha permesso il sanguinoso attacco di Hamas contro i civili, il 7 ottobre scorso. Una lunga inchiesta del New York Times, che ha raccolto informazioni da più fonti e ascoltato testimonianze tra gli alti gradi militari e d’intelligence israeliani, svela tutte le falle di Tel Aviv che per anni ha sottovalutato le capacità offensive del partito armato palestinese. Tanto che l’agenzia d’intelligence israeliana che si occupa di intercettare le comunicazioni aveva smesso di ascoltare le conversazioni di Hamas da un anno perché lo considerava uno spreco di risorse.

Gli avvertimenti ignorati
Il fallimento della fortezza Israele è dovuto ovviamente a una serie di concause che si sono manifestate negli ultimi anni o mesi. Di sicuro, da quando Benjamin Netanyahu ha formato il nuovo governo con la coalizione più a destra della storia del Paese, le politiche estremiste messe in campo da lui e dai suoi ministri hanno silenziato le voci di chi, nell’intelligence militare, temeva reazioni violente dei gruppi armati alla repressione messa in atto da Tel Aviv nei confronti della popolazione palestinese.

Secondo quanto raccolto dal quotidiano americano, già il 24 luglio scorso due alti generali si sono presentati alla Knesset, il Parlamento israeliano, per riferire informazioni urgenti ai membri dell’assemblea su questioni di sicurezza. “Nella valigetta di uno dei generali, Aharon Haliva, capo della direzione dell’intelligence militare delle forze di difesa israeliane, c’erano documenti altamente riservati secondo cui i disordini politici (legati alla contestatissima riforma sul potere della Corte Suprema, ndr) stavano incoraggiando i nemici di Israele. Un documento affermava che i leader di quello che i funzionari israeliani chiamano ‘l’asse della resistenza’ (Iran, Siria, Hamas, Hezbollah e Jihad islamico) credevano che questo fosse un momento di debolezza israeliana e il momento di colpire” proprio a causa delle numerose defezioni minacciate dai riservisti. Lo stesso leader di Hezbollah, Hassan Nasrallah, aveva fatto sapere che quello era il momento di prepararsi per una grande guerra. Ma ad ascoltare il briefing dei militari si presentarono solo due parlamentari.

Una situazione indice del disinteresse manifestato dalle forze di maggioranza, e non solo, al pericolo di un attacco da parte di Hamas. Tanto che il generale Herzi Halevi, capo di stato maggiore dell’esercito, ha cercato di far arrivare gli stessi avvertimenti a Netanyahu in persona, ma il primo ministro si rifiutò di incontrarlo, secondo quanto raccontato dai funzionari sentiti. La situazione diventò così preoccupante da convincere il generale Halevi a rendere pubblici i rischi legati a un attacco. Il risultato fu che gli alleati di Netanyahu condannarono in tv il generale accusandolo di aver seminato il panico. Le sue preoccupazioni, successivamente, sono state confermate anche dallo Shin Bet, oltre che da alcuni Paesi vicini, come ad esempio l’Egitto.

Il muro penetrabile e lo stop alle intercettazioni
È possibile che tanta sicurezza fosse legata a una precisa convinzione ormai diffusa tra gli alti vertici dello ‘Stato ebraico’, ossia che i pericoli esistenziali di Israele arrivassero direttamente da Teheran o dalla principale milizia legata alla Repubblica Islamica fuori dai suoi confini, ossia gli uomini di Hezbollah in Libano. Mentre si è considerata di minore entità la minaccia che arrivava dal cortile di casa, ossia dalla Striscia di Gaza. Questo grazie anche a un sistema di sorveglianza dei confini considerato inespugnabile, nonostante la fitta rete di tunnel scavati da Hamas che permettono a miliziani e forniture di entrare e uscire dall’enclave palestinese.

Il muro, che si estende lungo il confine e continua per diversi metri anche sottoterra, è infatti dotato di un sistema di sorveglianza basato su telecamere , sensori e sistemi “sparatutto” azionati a distanza, hanno detto al Times quattro alti ufficiali militari israeliani. Pattugliamento e risposta armata controllati da remoto, oltre a rappresentare un avanzato sistema di sicurezza dal punto di vista tecnologico, davano anche l’impressione di rendere la barriera invalicabile limitando i rischi per i militari israeliani.

Hamas, che ha goduto anche dell’interruzione delle intercettazioni e di un rigido sistema di comunicazione verbale rendendo di fatto inefficaci le contromisure tecnologicamente più avanzate, ha avuto però il tempo di predisporre un piano che aggirasse il sistema di sorveglianza: “Il gruppo – spiega il Nyt – ha utilizzato droni esplosivi che hanno danneggiato le antenne cellulari e i sistemi di tiro a distanza che proteggevano la recinzione tra Gaza e Israele”. Per limitare le fughe di notizie, inoltre, il gruppo d’attacco è stato suddiviso in piccole cellule alle quali erano state impartite istruzioni limitate ai loro compiti, senza conoscere la reale portata dell’offensiva. Questi due fattori hanno di fatto reso inefficace un sistema di difesa che, violato, ha lasciato campo aperto ai miliziani islamisti che hanno trovato scarsissima resistenza armata al di là del confine.

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