“Il bob a Cesana è troppo costoso, è impensabile che si mettano nuove risorse. L’impianto piemontese ha un problema innanzitutto di posizionamento della pista, uno degli elementi critici di insuccesso. Ripristinarla costerebbe molto di più di quello che ci viene detto e anche le valutazioni tecniche su quella pista non sono confortanti”. Così parlava Andrea Abodi, ministro dello Sport, lo scorso 15 ottobre, poco dopo l’annuncio-choc del presidente del Coni Giovanni Malagò, secondo cui, bocciata la nuova pista di Cortina, le gare di bob, slittino e skeleton delle Olimpiadi invernali 2026 si sarebbe svolte all’estero. Poi le piroette della politica hanno coinvolto anche Abodi e gli hanno fatto dichiarare con altrettanta certezza, il 26 ottobre, il giorno dopo la seduta del cda di Fondazione Milano Cortina: “Saremo pronti ad affrontare le difficoltà per la pista da bob. Auspichiamo che avvenga in Italia. Stiamo valutando il dossier del Piemonte, della pista di Cesana. Saranno Olimpiadi e Paralimpiadi meravigliose. L’entusiasmo è alle stelle. Dobbiamo collaborare affinché sia un evento memorabile”.

È bastato che il vicepremier Antonio Tajani, di Forza Italia, lanciasse la volata al governatore piemontese Alberto Cirio perché la proposta considerata impresentabile diventasse un’opportunità da prendere seriamente in considerazione. Ma è davvero così? Quali chances ha l’impianto di Cesana Pariol utilizzato per i Giochi del 2006 di tornare in ballo? Molto poche, se ne ripercorriamo le caratteristiche, già bocciate. La verità è che Malagò non ha nascosto la propria predilezione per Saint Moritz, l’unica pista a ghiaccio naturale, su cui non c’è solo il consenso di Giuseppe Sala, sindaco di Milano, ma anche del Comitato Olimpico Internazionale, che vorrebbe utilizzare impianti già esistenti. Il presidente Thomas Bach lo aveva scritto – totalmente inascoltato – nel 2021 al governatore del Veneto Luca Zaia, che aveva fatto orecchie da mercante. Adesso Malagò e Bach si sono parlati durante la sessione del Cio in India, concordando la linea.

IL PIEMONTE: SERVONO 33,8 MILIONI – Attorno agli sport di scivolamento continua così a consumarsi un balletto di parole e promesse, tra sciovinismo italiano, problemi di bilanci e incapacità di programmazione. Cortina è stata bocciata perché costava troppo (124 milioni di euro) e non si sono trovate imprese disposte a fare i lavori. Il Piemonte ha presentato ora un dossier (con la consulenza del Politecnico di Torino) secondo cui il restyling della pista di Cesana costerebbe 33,8 milioni. Un bel risparmio di 50 milioni rispetto al lotto principale previsto per Cortina. Servono 90 giorni per la progettazione e 365 per i lavori. Gli interventi prevedono una “nuova omologazione della pista e l’ammodernamento dell’assetto configurazione freddo”. Si passerebbe “da un impianto totale ad ammoniaca ad impianto ad acqua glicolata”, con drastica riduzione della quantità di ammoniaca necessaria. Un parco fotovoltaico su edifici e parte della copertura della pista produrrebbe l’energia necessaria per creare il freddo. Il Piemonte punta a farne “il primo centro federale in Europa per sliding sport”. Era stato promesso anche nel 2006, chiusero dopo alcuni anni.

CESANA: IL PROBLEMA AMMONIACA – Il fatto è che Cesana era già stata bocciata dall’analisi contenuta nel progetto definitivo di Cortina realizzato da società Infrastrutture Milano Cortina 2026 del commissario straordinario Luigivalerio Sant’Andrea. “Dal punto di vista sportivo è un impianto interessante, ben studiato, con un percorso che segue l’andamento del terreno”, c’è scritto. Le note positive finivano subito. “La localizzazione risulta in posizioni infelice sia dal punto di vista energetico, in quanto esposto a sud, sia dal punto di vista della fruibilità, visto che Cesana ha una limitata valenza turistica ed è lontana dai grandi flussi di traffico”. Per questo era stata chiusa nel 2012, a causa anche di 50 tonnellate di ammoniaca utilizzate per raffreddare il ghiaccio. “Sarebbero necessari importanti lavori di ristrutturazione generale oltre alla riattivazione dell’impianto di refrigerazione, ma l’ammoniaca rappresenta un importante fattore di rischio per la salute e un tema particolarmente delicato per la riqualifica”, si legge nel dossier.

“SERVE UNA SOSTANZIALE DEMOLIZIONE” – La pista progettata nel 2002 è lunga 1.435 metri, il dislivello va dai 1.684 metri della partenza ai 1.558 metri dell’arrivo. Pendenza massima al 16 per cento. Le curve sono 19. Scrive Simico: “L’impianto è stato soggetto ad atti vandalici durante i quali sono stati rubati i cavi di rame ed altri materiali. Dei componenti essenziali della pista, priva del fluido refrigerante e dei cablaggi per il funzionamento, rimane la struttura originaria in cemento armato. L’utilizzo ludico-turistico non ha mai avuto grande slancio”. Inoltre, “la modifica dell’impianto di refrigerazione, con l’utilizzo di altro fluido vettore in sostituzione dell’ammoniaca all’interno delle tubazioni esistenti, non offre garanzie sulla effettiva efficacia della misura. Una sostituzione delle tubazioni con altre dimensionate per un diverso fluido vettore comporterebbe una sostanziale demolizione della pista”. Come dire che si dovrebbe ripartire quasi da zero. Altre criticità: sovradimensionamento degli edifici, inadeguatezza della copertura e problemi di adeguamento per il rispetto dei più aggiornati standard di sicurezza nello studio della dinamicità. Conclusione: “In considerazione delle criticità che rendono impraticabile il recupero della pista esistente, se non a fronte di un sostanziale intervento anche sulla parte di pista esistente oltre alle modifiche da apportare all’impianto di refrigerazione, la struttura non risulta rispondente ai requisiti funzionali richiesti per la venue dei prossimi giochi olimpici invernali “. L’analisi che stronca la pista di Cesana Pariol è datata 15 dicembre 2022. Come potrà essere ribaltata un anno dopo?

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