Una famiglia massacrata, compreso il cagnolino, di cui i corpi furono ritrovati in avanzata decomposizione nella vasca a bagno. Una vicenda giudiziaria che ha portato a un nulla di fatto. Uno o più assassini a piede libero mentre l’unico imputato, arrestato e poi scagionato, non può essere più processato anche a fronte di nuovi risvolti perché già assolto con formula piena. Non è la trama di una serie tv in uscita su Netflix ma una storia accaduta a Napoli nella notte tra il 30 e il 31 ottobre del 1975: la strage di via Caravaggio, una mattanza rimasta impunita. A 48 anni da quel triplice omicidio irrisolto avvenuto nel quartiere Fuorigrotta, restano ancora molti dubbi sull’intero accaduto, compreso il movente che abbia scatenato tanta ferocia. Resta solo una certezza: Domenico Santangelo, Gemma Cenname e Angela Santangelo furono brutalmente ammazzati da un omicida spietato che non risparmiò nemmeno Dick, il cane di famiglia.
La famiglia Santangelo
Domenico Santangelo ha 54 anni, è un ex capitano della marina mercantile. Per circa un decennio, dopo aver lasciato la divisa, è stato amministratore condominiale del Rione Lauro, poi ha scelto di lavorare come rappresentante. Gemma Cenname, 50 anni, ostetrica e insegnante, è la sua seconda moglie. L’uomo ha una figlia di 19 anni, Angela, nata dal suo primo matrimonio, che lavora come dipendente all’Inam. I tre vivono in un’abitazione al quarto piano della palazzina al civico 78 di via Caravaggio. La mattina dell’8 novembre Mario Zarrelli, nipote di Gemma, preoccupato dalla strana assenza della zia che da giorni non gli risponde al telefono, si rivolge alla Polizia che invia una volante in via Caravaggio. Le finestre sono chiuse, il contatore della luce è staccato e la Lancia Fulvia di Domenico non è in garage. Dopo aver suonato incessantemente il campanello, gli agenti chiamano i Vigli del Fuoco che rompono un vetro per entrare dal balcone di una delle stanze.
Il crimine
Davanti a loro c’è l’orrore. Lunghe scie di sangue sul pavimento a riprova del trascinamento dei quattro cadaveri, tre umani e uno animale, da una stanza all’altra fino alla vasca da bagno dove giacciono in stato di decomposizione. Il cane è stato soffocato, l’uomo e le due donne sono stati tutti sgozzati con un coltello da cucina dopo essere stati colpiti alla testa con un oggetto mai ritrovato. Il corpo di Angela giace sul letto matrimoniale. I tre sono stati uccisi in ambienti diversi della casa da una persona che, secondo gli inquirenti, conosceva la famiglia Santangelo. Secondo gli investigatori si sarebbe trattato di un omicidio iniziale scaturito da un’esplosione di rabbia da parte dell’assassini che poi avrebbe ammazzato anche i testimoni. Oppure una vendetta maturata negli anni? Dopo aver compiuto la strage, il colpevole ha persino chiuso a chiave la porta di casa con doppia mandata lasciando come unica traccia del suo passaggio l’impronta di una scarpa di taglia 42 da cui, si è dedotto, fosse quasi certamente un uomo.
L’indiziato
Unico imputato per la strage fu Domenico Zarrelli, nipote di Gemma e fratello di Mario che diede l’allarme. L’uomo, figlio del presidente di una corte d’appello, ha preso la laurea in Giurisprudenza dietro le sbarre. Secondo quanto dichiarò l’accusa, si sarebbe vendicato per un prestito negato. Zarrelli fu arrestato nel ’76. A pesare sul suo arresto furono una ferita da taglio alla mano, e alcuni testimoni che quella sera lo videro al volante dell’auto dello zio Domenico, poi ritrovata in via Marina. Condannato inizialmente all’ergastolo, fu assolto dopo cinque anni per mancanza di prove ma dopo la Cassazione annullò la sentenza e il processo fu rifatto. La conferma della sentenza di assoluzione avvenne nel 1985. Lo Stato nel 2016 ha risarcito Zarrelli per danni morali con un milione e 400mila euro.
Il Dna
Nel 2014, grazie alle avanzate tecniche di investigazione scientifica furono rinvenute tracce di Dna dalla polizia scientifica sui reperti ritrovati sulla scena del delitto e custoditi nei depositi del Tribunale di Napoli, nei sotterranei di Castel Capuano. Queste tracce avrebbero portato, secondo la scientifica, a Domenico Zarrelli. Tracce del suo Dna, secondo quanto emerso dagli esami della Scientifica di Roma e di Napoli, delegate dal procuratore aggiunto Vincenzo Piscitelli, sarebbero state ritrovate su uno straccio da cucina insanguinato e su dei mozziconi di sigarette. Tuttavia l’uomo ha sempre affermato di non essere mai stato sottoposto a nessun test genetico, dichiarando che l’indagine era solo un tentativo di discreditare la sua immagine. Tutto ciò non consente di riaprire il caso perché Zarrelli non potrà più difendersi in un nuovo processo, vale il principio “ne bis in idem” per cui non si può processare una persona, assolta con sentenza definitiva, due volte per lo stesso reato. Il procedimento è stato archiviato nel 2015. La strage è destinata a restare impunita e l’assassino, o gli assassini, potrebbero essere ancora vivi.