Si è svolta ad Aversa venerdì 27 e sabato 28 ottobre la XIX edizione del Premio Bianca D’Aponte, la più importante manifestazione italiana dedicata alla canzone d’autrice. Il concorso è stato vinto da Chiara Ianniciello, da Salerno, mentre il premio della critica, intitolato a Fausto Mesolella, è andato a Irene Buselli, cantautrice genovese molto interessante, che si è aggiudicata anche il premio come miglior testo.
Nell’arco delle due serate ci sono stati anche ospiti che hanno regalato momenti di altissimo livello. C’è stata la madrina Nina Zilli, che ha cantato anche un brano di Bianca D’Aponte, “Lo specchio” con grande trasporto. Momenti di spessore sono stati anche quello della bravissima cantautrice Flo e quello di Cristiano Godano, il venerdì.
Il Premio alla carriera è stato invece consegnato a Mauro Pagani: la storia. Il musicista ha cantato “Creuza de ma”, assieme all’orchestra e Massimo Germini al bouzouki e “Impressioni di settembre”, canzoni che non hanno certo bisogno di presentazioni. Più in generale, Pagani ha sottolineato l’atmosfera che si respira in quei tre giorni al D’Aponte. Questo premio ha una particolarità che oramai è diventata quasi unica, ma che credo tornerà ben presto: l’indispensabile umanità, che accompagna ogni ragionamento e decisione musicale intorno a esso.
Mai come in questo periodo si è nel bel mezzo di una spaccatura nel mondo della musica. Lo scontro recente tra Morgan e Davide Simonetta, germogliato a X-Factor, ne è un esempio: da una parte si chiede autenticità creativa e un approccio personale, riflessivo, complesso, che sappia anche arrivare a risultati semplici, ma mai facili; dall’altra parte si confezionano canzoni calibrate sulla fruizione leggera: prodotti in serie, per compiacere l’ascolto superficiale e scacciapensieri.
È una diatriba vecchia quanto il mondo dell’arte ma che ciclicamente si ripropone. Negli anni Cinquanta, per esempio, fece partire la stagione della canzone d’autore. Oggi i linguaggi musicali della contemporaneità sono imbrigliati da una banalizzazione che non corrisponde alla necessità della ricerca continua. Sia nella concezione delle canzoni da classifica che nei live dei grandi eventi, in Italia si punta alla partecipazione acritica e indiscriminata. Rimettere al centro invece le esigenze del senso critico, il ragionamento sulle cose e l’umanità presuppone un ritorno all’umanesimo che può davvero fare la differenza. Umanità vuol dire esclusività: quella personale dell’artista creatore, non quella “a specchio” dell’imitazione continua di ciò che “funziona”.
Un posto come il Primo Bianca D’Aponte, allora, è davvero un’isola esclusiva. Lì ogni anno si ritrovano addetti ai lavori della discografia, dell’industria, della critica musicale. L’attitudine e il timone sono gestiti da Gaetano e Giovanna, i genitori di Bianca che mai metterebbero in discussione l’autenticità umana di rapporti personali e della musica conseguente: per ovvi e granitici motivi da cui quella manifestazione è nata, loro malgrado.
Da questo atteggiamento si deve ripartire. Io credo che in futuro la spaccatura sarà sempre maggiore, soprattutto quando l’intelligenza artificiale prenderà il posto degli autori di hit in serie: lo farà meglio e a un costo più basso. La creatività umana, invece, non si compra, non ha prezzo e non fa lobby.