La Commissione Giustizia della Camera ha approvato il ddl di riforma della prescrizione. Come previsto, è passato l’emendamento dei relatori Enrico Costa (Azione) e Andrea Pellicini (Fratelli d’Italia) che recepisce l’intesa raggiunta dopo lunghe trattative tra le forze di governo: cancellate sia la riforma Bonafede del 2019 (blocco del termine dopo la prima sentenza) sia la riforma Cartabia del 2021, che ha introdotto al suo fianco il controverso meccanismo dell’improcedibilità, in base al quale, dopo il primo grado, non si estingue più il reato ma il processo, al superamento di determinati limiti temporali (a regime un anno in Appello e due in Cassazione). Al loro posto torna un meccanismo di prescrizione sostanziale (cioè del reato e non del processo) in tutti i gradi di giudizio, simile a quello disegnato nel 2017 dalla riforma Orlando, ma con alcuni importanti correttivi. Respinte o ritirate tutte le altre proposte di modifica, la maggior parte firmate dal Movimento 5 stelle. Nel pomeriggio è stato votato il mandato ai relatori a riferire in Aula, dove il testo arriverà il 6 novembre per la discussione generale.

La nuova disciplina prevede che in caso di condanna dell’imputato, il termine di estinzione (equivalente, per la maggior parte dei reati, al massimo della pena prevista più un quarto) rimanga sospeso per un massimo di due anni dopo la sentenza di primo grado e per un massimo di un anno dopo la sentenza d’Appello, allo scopo di fornire un “bonus” temporale per completare il processo (nella Orlando entrambi i periodi di sospensione erano di 18 mesi). Se però il tempo extra si esaurisce prima che arrivi la decisione del grado successivo, il “bonus” si azzera: tutto il periodo di sospensione viene di nuovo computato ai fini della prescrizione. Lo stesso accade se la sentenza d’Appello, pur arrivando “in tempo”, assolve l’imputato condannato in primo grado (quest’aggiunta è stata voluta da Costa). In qualche modo, quindi, l’improcedibilità abolita rientra dalla finestra: se un reato, poniamo, sta per prescriversi al termine del primo grado, ci saranno due anni extra per celebrare il secondo. Ma se questo periodo non basta (come avviene al momento in numerose Corti d’Appello) la tagliola sospesa tornerà a scattare retroattivamente. Lo stesso avviene in Cassazione, se il giudizio dura più di un anno. La nuova disciplina, in quanto più favorevole al reo, si applicherà retroattivamente sia ai processi per i reati commessi sotto la vigenza della legge Orlando (dall’agosto 2017 alla fine del 2019) sia a quelli commessi sotto la Bonafede/Cartabia (dal 1° gennaio 2020 in poi).

C’è poi un allungamento dei termini per i reati di violenza commessi contro le donne, ottenuto dalla responsabile Giustizia della Lega Giulia Bongiorno: le lesioni personali (art. 582 c.p.) e la deformazione dell’aspetto mediante lesioni permanenti come quelle da acido (art. 583-quinquies) si prescrivono in un tempo equivalente al massimo della pena aumentato della metà (e non più di un quarto) quando hanno per vittima ex coniugi ed ex partner. Insomma, viene rivoluzionato il testo base a firma del forzista Pietro Pittalis, che proponeva il ritorno secco alla legge ex Cirielli (approvata sotto il terzo governo Berlusconi) senza più nemmeno le sospensioni della Orlando. Sconfitta anche la linea del viceministro azzurro Francesco Paolo Sisto, che insisteva per una soluzione più vicina alla Cirielli: la sua proposta era di far scattare il blocco del termine non più dopo il primo grado (come previsto dalla Bonafede) ma dopo l’Appello, cancellando l’improcedibilità. Ritirato, infine, l’emendamento firmato dai capigruppo di maggioranza che recepiva il primo accordo poi tramontato, leggermente diverso dall’attuale (la sospensione prevista era di 18 mesi dopo il primo grado e di 12 dopo il secondo).

Il mandato ai relatori è stato approvato con i voti della maggioranza: Pd e Movimento 5 stelle hanno detto di no, mentre Devis Dori di Alleanza Verdi e Sinistra si è astenuto. “La nostra perseveranza comincia ad ottenere risultati. Abbiamo presentato la prima proposta di legge della legislatura, abbiamo chiesto di incardinarla in Commissione, abbiamo ottenuto di inserirla nell’ordine del giorno dell’Aula; infine, abbiamo cercato una sintesi con la maggioranza: oggi, finalmente, la Commissione Giustizia ha approvato il mandato al relatore. Grande passo avanti“, festeggia su Twitter Costa di Azione. Per Valentina D’Orso, capogruppo M5s in Commissione, quella della maggioranza è “una soluzione pasticciata che distingue i tempi della prescrizione in base all’esito di assoluzione o condanna o in base alla pubblicazione della sentenza entro i termini fissati o meno. Insomma anche il maturare o meno della prescrizione diventerà uno degli elementi imprevedibili e insondabili del processo, con buona pace della certezza del diritto”. Critica anche Debora Serracchiani del Pd: “Sul Pnrr è stato raggiunto l’obiettivo sul disposition time, i magistrati hanno riorganizzato il lavoro, sono stato abbattuto i tempi nei giudizi in appello e nei tribunali. Non riteniamo necessaria una riforma che allunga i tempi e pone problemi sull’applicazione”.

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