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Le 7 lezioni della Morte che ci insegna a vivere senza avere paura del trapasso

Vita e morte sono una cosa sola. È solo l’illusione della nostra mente a separarle. Non dobbiamo aspettare la fine dell’esistenza per comprendere la saggezza che la morte può offrire

In questi giorni, tra fine ottobre e i primi di novembre, in gran parte del mondo il pensiero corre spesso al tema della Morte: dalla notte di Halloween con le sue tradizioni alla ricorrenza cristiana di Ognissanti, fino alla Commemorazione dei defunti, in queste giornate il binomio vita-morte è un trend. Ma se potessimo invitare la Morte a cena e ci ritrovassimo da soli con lei, cosa le chiederemmo? Forse non ci abbiamo mai pensato, ma non esiste nulla di più vivo della morte. È la più grande maestra a nostra disposizione.

Nella nostra società siamo ossessionati da aspetti transitori, come l’identificazione con il nostro corpo, la bellezza fisica, il successo effimero. La morte, al contrario, ci fa comprendere la transitorietà della nostra condizione, liberandoci dall’attaccamento: infatti, se ci leghiamo a ciò che per sua natura è impermanente e transitorio, inevitabilmente soffriremo. Possiamo, quindi, entrare ogni giorno in una dimensione di non identificazione, prendendo contatto con quella sobria essenzialità grazie alla quale ci rendiamo conto che la mente, le emozioni, il corpo, l’energia vitale sono semplicemente degli strumenti che abbiamo a disposizione, in “affitto”. Dovremo restituirli un giorno, ma intanto con essi possiamo creare un’opera d’arte straordinaria, rendendoli perfetti strumenti di valore, pace e amore.

Ho iniziato a trattare il tema della morte in ambiente accademico e universitario mentre insegnavo Impresa Familiare all’Università di Girona, proprio nel periodo immediatamente successivo alla grande crisi economica del 2008, quando tantissime imprese, soprattutto familiari, erano fallite. In un’impresa familiare si vive una grande identificazione tra il lavoro e la storia della propria famiglia, e diversi imprenditori in quel periodo si erano tolti la vita perché il fallimento dell’azienda aveva rappresentato la morte del nucleo della propria identità. Questo è un aspetto della nostra società da prendere seriamente in considerazione: quanti progetti, quante situazioni, idee e relazioni costituiscono la nostra identità? Spesso accade che sentiamo morire una parte di noi con la fine di una relazione di dieci, venti, trent’anni con una determinata persona con cui si è costruita una casa, una famiglia con anche dei figli, oppure quando viene meno un progetto lavorativo che aveva creato abitudine e senso di appartenenza e riconoscimento. Molte persone, infatti, non riescono a elaborare quel lutto neanche dopo anni e non sono in grado di affrontare morte e rinascita di sé stesse perché profondamente attaccate a quell’idea.

In una delle esperienze più intense che ho vissuto nell’accompagnamento alla morte, la persona che stavo accompagnando verso la “grande soglia” mi ripeté più volte questa frase negli ultimi giorni della sua vita: “Mi dispiace solo non essermene accorto prima”. “Di cosa?” gli chiesi. “Dell’amore” mi disse. “Che siamo immersi nell’amore. Costantemente. Non lo riconoscevo. Sono stato distratto tutta la vita, ma ora la morte mi ha dato gli occhi per vedere, la chiarezza per capire e ancora qualche respiro per celebrarlo”.

A tutte le persone che ho accompagnato e che hanno avuto la possibilità di essere lucide fino alla fine, la morte ha, paradossalmente, svelato lo scopo della vita, che non consiste nel raggiungere ricchezza, potere e fama, ma imparare ad amare e fiorire nell’intelligenza e nella saggezza del cuore. In loro era chiaro che tutto ciò a cui si erano visceralmente aggrappate durante il corso dell’esistenza era privo di sostanza e significato reale. Non sto dicendo che queste componenti non siano importanti. Sto semplicemente ricordando che lo scopo della vita è un altro ed è importante realizzarlo il prima possibile, senza aspettare di arrivare alla “fine”.

Siamo abituati a demonizzare la morte, a scacciarla, a considerarla come la fine di tutto, l’evento negativo per eccellenza. Allontaniamo il suo pensiero il più possibile, eppure, se lasciamo andare resistenze e pregiudizi e le dedichiamo seriamente il nostro tempo senza più paura, accadrà l’inaspettato.

Avevo poco più di vent’anni quando iniziai ad approcciarmi al tema grazie a una profonda pratica meditativa sulla morte, che per un anno intero svolsi quotidianamente. L’esercizio consisteva nel trovare ogni giorno uno spazio meditativo nel quale sentire la sua presenza senza desiderio di scacciarla, senza rifiuto, nella più totale disponibilità e apertura a esplorare le sue ragioni e i suoi insegnamenti. All’inizio non fu per niente facile, paura e rifiuto presero il sopravvento, mentre poi entrai così profondamente nella pratica che mi avvolse una sensazione profondissima di pace, accoglienza e calore protettivo. Non c’era più nulla di cui avere paura. Avvicinandomi in quel modo alla morte diventai più intimo con la vita. E iniziai a considerare la morte una maestra, la quale mi lasciò sette insegnamenti che ho accolto come un’eredità profonda:

1. Vivi in maniera consapevole, oltre l’ordinario, meravigliandoti di ogni instante ancora concesso;

2. Ama e dillo alle persone che ami;

3. Accogli la vita accettandone la transitorietà;

4. Trova nel vortice del mondo esterno uno spazio meditativo di silenzio e di distacco in cui osservare gli stimoli senza identificarti e reagire ad essi;

5. Sii sobrio, umile, essenziale, lascia andare il superfluo e scopri cosa conta davvero: sarà ciò che potrà sostenerti, quando tutto crolla;

6. Abbi chiaro ciò che vuoi, senza paura, portando chiarezza nella tua mente;

7. Niente di tutto ciò che vedi ti appartiene davvero, se non la presenza consapevole in questo istante: scorri insieme alla vita, non aggrapparti a essa.

Ogni morte è unica e significativa. È un’opportunità preziosissima per crescere in saggezza e superare il senso di separazione dalla vita e dagli altri. La morte è, quindi, maestra non solo per chi muore, ma anche per chi accompagna e per chi rimane. Paradossalmente, affrontare l’argomento morte e la sua paura ci dà degli strumenti di consapevolezza sulla natura della vita e di noi stessi capaci di insegnarci il significato autentico dell’amore. Accompagnare un essere umano fino alla “grande soglia” ed essere un testimone empatico dell’istante del trapasso è, quindi, un’esperienza che trasforma la visione dell’esistenza e la capacità di vivere intensamente ogni istante. Vita e morte sono una cosa sola. È solo l’illusione della nostra mente a separarle. Non dobbiamo aspettare la fine dell’esistenza per comprendere la saggezza che la morte può offrire. Possiamo iniziare da subito. Proprio da questo respiro.