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Quattro cooperanti italiani evacuati da Gaza. “Stiamo bene. Situazione drammatica che ci impedisce di lavorare”

Ci sono anche quattro italiani tra le 450 persone che nella mattinata di mercoledì hanno potuto attraversare il valico di Rafah e uscire così dalla Striscia di Gaza entrando in territorio egiziano. A darne notizia è il ministro degli Esteri italiano, Antonio Tajani, dicendosi “felice di confermare che un primo gruppo di italiani che avevano intenzione di lasciare Gaza è uscito dalla Striscia”. I quattro cooperanti, uno dei quali è sposato con una donna palestinese, nelle scorse settimane hanno trovato riparo nella sede dell’agenzia Onu Unrwa a Rafah e oggi hanno messo piede nel Sinai assistiti dal personale dell’ambasciata italiana al Cairo.

Proprio la sede diplomatica italiana in Egitto si occuperà del loro trasferimento in Italia. Comunque, assicura Tajani, stanno tutti bene: “Ho appena parlato con i connazionali e con il funzionario dell’ambasciata al Cairo che li sta assistendo – ha garantito – Stanno tutti bene. Continuiamo a lavorare adesso per gli altri italiani e congiunti che sono ancora nella Striscia. Contiamo di farli uscire con le prossime aperture, programmate da domani e per i prossimi giorni”.

Conferme arrivano anche dai diretti interessati. Azione contro la fame, la ong per la quale lavora Maya Papotti, una delle persone evacuate da Gaza, assicura che “la nostra collega italiana ha appena lasciato la Striscia e sta bene. Ringraziamo le autorità e attendiamo il suo rientro in Italia. Rinnoviamo solidarietà e preoccupazione per il nostro personale e tutti i civili ancora sul campo e la richiesta di cessate il fuoco e di corridoi umanitari“. Anche Jacopo Intini, che si trovava nella Striscia fino a mercoledì mattina, tranquillizza tutti i suoi conoscenti e familiari: “Sono provato ma sto bene. Il nostro ruolo è di stare al fianco della popolazione, ma le condizioni drammatiche sul campo non ci consentono di lavorare”. Con Intini ha lasciato Gaza la moglie, Amala Khayan, anche lei operatrice dell’organizzazione. “Ci ho parlato solo qualche istante perché la connessione non era buona – spiega il presidente della loro ong – Stanno bene, la loro uscita da Gaza è coincisa col bombardamento del campo di Jabalia che per noi è una importante sede di lavoro”.