di Michele Tamburrelli*
Il salario dignitoso non è necessariamente quello indicato nei Ccnl (Contratti Collettivi Nazionali di Lavoro), anche se stipulati dalle associazioni comparativamente più rappresentative. Così la sentenza della Corte di Cassazione 27769 del 2 ottobre 2023, intervenuta nel giudicare anticostituzionale la retribuzione del Ccnl Servizi Fiduciari, applicata ad alcuni ricorrenti occupati nel settore.
La Corte di Cassazione ricorda che il giudice di merito, per indicare una retribuzione rispettosa dell’art. 36 della Costituzione, può riferirsi alla retribuzione dei contratti collettivi, ma può anche discostarsene se non la ritiene congrua. Questa sentenza mette all’angolo la contrattazione collettiva nazionale di lavoro come agente salariale?
No, a parer mio. Molti operatori del settore, avvocati e esperti di diritto del lavoro sono preoccupati che la sentenza possa aumentare a dismisura il contenzioso. Ma le retribuzioni dei Contratti Collettivi a rischio contenzioso, sottoscritti da organizzazioni comparativamente più rappresentative, che oggi sono sotto la soglia ipotetica indicata da una possibile legge sul salario minimo, si possono contare sulle dita di una mano. Tra queste anche le retribuzioni dell’ex contratto servizi fiduciari, ora ipotesi di accordo delle Guardie Particolari Giurate, rinnovato il 31 maggio 2023 che, per ammissione degli stessi firmatari, non ha fatto crescere di molto la parte economica: la paga oraria arriverà a sfiorare i 6 euro nel 2026.
Cosa succederebbe, quindi, se un lavoratore del settore della vigilanza, nei prossimi mesi, si rivolgesse alla magistratura per verificare se la sua retribuzione corrisponda ai dettami dell’art. 36 della Costituzione? E che ne sarebbe delle relazioni sindacali di quel settore, con un’ipotesi di rinnovo di contratto appena sottoscritta? L’impatto mediatico spingerebbe le associazioni datoriali a rendersi maggiormente disponibili sul versante economico o si lascerebbe decidere ai giudici?
Certo, come ho ricordato in precedenti scritti, i Ccnl sono valorizzati anche da una parte normativa e obbligatoria che non farebbe venire meno l’autorevolezza delle parti negoziali e del contratto stesso, ma è indubbio che la parte economica è quella che i lavoratori percepiscono meglio. Ed è proprio per questo aspetto che alcuni agenti contrattuali potrebbero essere tentati di aumentare la parte economica dei Contratti Collettivi per renderli compatibili con un eventuale giudizio di costituzionalità da parte della magistratura e tentare di diminuire i costi derivanti dalla parte normativa (ferie, permessi, malattia, maggiorazioni, previdenza complementare, assistenza sanitaria, ecc.).
L’art. 36 della Costituzione, al primo comma, recita: “Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa”. La sentenza in esame ha riformato quella precedentemente pronunciata dalla Corte d’Appello, che aveva confermato la tesi della società ricorrente, una delle più importanti del settore della vigilanza, relativa alla costituzionalità della retribuzione riconosciuta ai propri dipendenti perché superiore alla soglia di povertà fissata dall’Istat, includendo nel calcolo le ore di lavoro straordinario.
A tal proposito, ricorda la sentenza in esame, Naspi, accesso alla pensione, l’importo del reddito di cittadinanza sono parametri minimi utili al percettore a garantire la mera sopravvivenza ma non necessariamente idonei a sostenere un giudizio di “sufficienza e proporzionalità”. E ancora, non basta che il salario sia sopra la soglia della cosiddetta “povertà assoluta”, perché la formulazione dell’art. 36 della Costituzione si riferisce ad una esistenza “libera e dignitosa”: quindi il salario è sì importante per le necessità primarie, quali cibo, vestiario e alloggio, ma anche per attività culturali, educative e sociali.
Si potrebbe avanzare l’ipotesi, senza nulla togliere alla parte economica, che almeno i parametri di “esistenza libera e dignitosa” possano essere assicurati anche attraverso il cosiddetto welfare aziendale (asili nido, sportello per consulto psicologico, cure termali, palestra, banca del tempo, etc.), ovvero la possibilità di assicurare ai dipendenti cui viene applicato un contratto collettivo, beni e servizi che altrimenti il lavoratore acquisterebbe sul mercato a prezzi ben più alti. Naturalmente per poter incentivare questa opportunità, servirebbe la possibilità di migliorarne il trattamento fiscale e di favorirne la diffusione magari in una contrattazione decentrata a livello territoriale.
Insomma, sul tema della contrattazione collettiva e dell’art. 36 della Costituzione ci sarebbe molto da fare; anche sul versante del cosiddetto “lavoro povero” (part time involontario, contratti precari etc.) che sarà oggetto di un successivo approfondimento: infatti un salario orario dignitoso è uno degli ingredienti (ma non il solo) utile a scongiurare questa piaga del mercato del lavoro italiano. Su questi temi le parti sociali e le istituzioni possono contribuire a migliorare la situazione se si evitano però approcci ideologici o eccessivamente politicizzati.
* Laureato in diritto del lavoro e relazioni industriale presso la facoltà di Scienze Politiche di Milano, mi sono occupato della materia fin dai miei primi esordi nel sindacato, insegnando nei corsi ai rappresentanti sindacali, trattando i problemi vertenziali e di tutela dei lavoratori, relazionandomi con aziende del settore terziario, turismo e servizi. Appassionato anche della materia della formazione ho diretto per diversi anni un ente di formazione