Dopo aver ridotto i fondi per la sanità, il governo Meloni introduce con la legge di Bilancio altre misure per “picconare” il servizio sanitario nazionale pubblico. La legge di Bilancio ha alzato la dotazione per sanità di soli 3 miliardi (di cui 2,3 destinati al rinnovo dei contratti collettivi di settore) portandola a 136 miliardi. Ma l’incremento non tiene il passo con l’inflazione e segna una diminuzione della spesa in rapporto al Pil. Tra le altre novità ci sono disposizioni per aumentare i fondi che possono essere usati per acquistare servizi dalla sanità privata, e una misura che sopprime gli inventivi alle farmacie per la vendita di farmaci generici (identici a quelli di “marca” con brevetto scaduto ma meno cari), a vantaggio delle grandi case farmaceutiche e a svantaggio di conti pubblici e tasche dei cittadini.

L’articolo 45 prevede la possibilità di alzare la cifra pagata per gli straordinari di medici del servizio pubblico al fine di ridurre le liste di attesa. Ma i medici del SSN hanno già spiegato che il punto non è quanto vengono pagati gli straordinari ma che mancano le persone per farli (e la manovra non prevede nessun piano di nuove assunzioni). A questo punto però l’articolo 46 introduce una seconda opzione, quella di rivolgersi a strutture private, e prevede un incremento di fondi a questo scopo (123 milioni nel 2024, 368 milioni nel 2025 e ben 490 milioni nel 2026). Il risultato sarà insomma quello di spingere sempre più persone verso medici e strutture private che assorbiranno al quasi totalità dei fondi stanziati per alleggerire le liste di attesa. Nell’articolo successivo, il 47, ecco un altro regalino ai privati. In sostanza le regioni che fanno maggiormente ricorso a strutture private non subiranno più nessuna penalizzazione, a differenza di quanto accadeva prima in base a un criterio di “appropriatezza”.

La manovra riformula poi quello che va ai farmacisti come percentuale o quota fissa dalla vendita di medicinali (art.44). La novità più significativa è che viene meno l’incentivo di 28 centesimi a confezione per la vendita di farmaci generici equivalenti. In questo modo, anche per prodotti il cui brevetto è scaduto, la convenienza per chi vende è quella di piazzare il farmaco con il prezzo più alto. quasi sempre quello originale. Nel complesso si vede insomma come prosegua inesorabile l’opera di progressivo smantellamento della sanità pubblica. Un’operazione in cui si sono cimentati con maggiore o minor ardore, governi di tutti i colori. E ancora un’operazione particolarmente subdola perché mai ufficialmente dichiarata ma perseguita con trucchetti come l’impossibilità di fare un esame o una visita con il Ssn in tempi compatibili con le patologie. Forse anche per questo sinora accolta con una certa passività dall’opinione pubblica. A dare il la fu l’allora presidente del Consiglio Mario Monti che nel novembre 2012 affermò “Il nostro Sistema sanitario nazionale, di cui andiamo fieri, potrebbe non essere garantito se non si individuano nuove modalità di finanziamento (ossia non pubbliche, ndr)”.

Il processo di riduzione delle risorse inizia qualche anno prima ma si intensifica nel decennio successivo. Come ricostruito dalla fondazione Gimbe, che parla di una “sanità in rotta verso il baratro”, tra il 2010 e il 2019 vengono tolti alla sanità pubblica 37 miliardi di euro. Solo nel quinquennio 2010 – 2015 vengono meno 25 miliardi allo scopo di migliorare i conti pubblici. Sono anni in cui si susseguono il quarto governo Berlusconi, il governo Monti, il governo Letta ed infine l’esecutivo Renzi. Altri 12 miliardi sono decurtati tra il 2015 e 2019 dai governi Renzi, Gentiloni e Conte 1. Nello stesso decennio i posti letto in ospedale si riducono da 410 a 350 ogni 100mila abitanti. I posti in terapia intensiva diventano la metà di quelli della Germania. Con lo scoppio della pandemia i fondi tornano brevemente a salire, in due anni aumentano di 11 miliardi che però servono ovviamente per le maggiori spese causate dall’emergenza e dunque non comportano alcun miglioramento strutturale del servizio. Messo da parte il Covid si ricomincia a stringere la cinghia. Oggi la spesa per la sanità pubblica vale in Italia il 6,6% del Pil, al di sotto della media Ocse e 4 punti percentuali in meno rispetto alla Germania. I medici di base a disposizione della popolazione sono 6,8 ogni 10mila abitanti e in continuo calo e al di sotto della media Ue.

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