Ha cercato su Google Maps l’indirizzo della Procura dei minori di Lecce e si è presentato da solo negli uffici di via Birago per chiedere aiuto, denunciando lo zio dispotico e pregando le forze dell’ordine che lo hanno accolto di poter tornare a scuola. È accaduto in Puglia, nel Salento. Una vicenda che la procuratrice Simona Filoni ha scelto di raccontare a ilFattoQuotidiano.it perché possa essere un esempio per chi si trova in difficoltà.

Protagonista un 16enne senegalese, esausto delle imposizioni del parente che dopo la morte della mamma a causa del Covid, lo ha costretto a una vita in “schiavitù” obbligandolo a studiare il Corano, chiuso in una stanza, senza poter avere contatti con gli amici. Babacar (nome di fantasia, ndr) è arrivato in Italia nel 2019. Suo padre è rimasto in Senegal mentre lui, la sorella e la madre hanno raggiunto il Salento dove abitava già lo zio. È lì che Babacar va a scuola e stringe le prime amicizie e scopre la bellezza dell’imparare. Quando scoppia la pandemia, la vita del giovane senegalese si trasforma. La madre viene contagiata e muore. Viene affidato allo zio, nominato tutore legale. Per lui inizia il calvario. Per un po’ di tempo continua ad andare a scuola poi il parente sceglie di non mandarlo più tra i banchi. Lo costringe a restare in casa, non gli consente più di incontrare gli amici, di avere una vita normale come quella di tutti gli adolescenti. Addio allo studio dell’italiano, della matematica, dell’arte, della storia; per lui c’è solo il Corano.

Babacar non ce la fa. Non accetta di subire queste angherie ma non sa cosa fare. Prova a chiedere aiuto alla zia, l’unica figura femminile che c’è in quella casa ma la donna non ha voce in capitolo. Intanto la sorella viene fatta rimpatriare: torna in Senegal. Babacar resta solo, abbandonato, prigioniero delle volontà dello zio e di una stanza da cui può uscire rare volte. Capisce persino che quell’uomo cui è stato affidato lo vuole rispedire in Senegal.

Ma è lì che, certo di essere in un Paese che lo ha accolto, in un’Italia dove vengono rispettati i diritti anche dei bambini, ha un’idea: cerca in Rete l’indirizzo della Procura dei minori più vicina, a Lecce. Nei giorni scorsi escogita un piano: fuggire, prendere un treno e raggiungere via Dalmazio Birago, 8. Babakar non ha dubbi. Vuole tornare a studiare, desidera avere un’esistenza in Italia ma da uomo libero. Quando arriva alle 13 alla Procura trova le porte aperte, degli sguardi attenti e delle persone (i poliziotti e i carabinieri della giudiziaria) disposti ad ascoltarlo. Le persone guidate da Filoni capiscono subito che si tratta di un caso delicato. “Grazie all’articolo 403 del Codice Civile – ci spiega la procuratrice – che trova applicazione quando il minore si trova in una condizione di grave pericolo per la propria integrità fisica e psichica, per cui la pubblica autorità, a mezzo degli organi di protezione dell’infanzia, lo colloca in luogo sicuro, siamo intervenuti subito. Con la rete dei servizi sociali abbiamo individuato una comunità che lo ha accolto”.

Per lo zio sono, invece, scattate le indagini della Procura generale. Una storia a lieto fine: “Il ragazzo ci ha detto espressamente che vuole studiare, vivere nel nostro Paese”, ci racconta il capo della Procura dei minorenni che aggiunge: “Questo caso è straordinario perché è una delle poche volte in cui non ci arriva una segnalazione da un adulto, dalla scuola, da qualche vicino di casa, dai servizi ma si è trattato di un minore che ha compreso di essere in un Paese che gli garantiva dei diritti. Noi abbiamo fatto il nostro dovere, applicando l’articolo 403”. Una vicenda unica che va a sommarsi all’immenso lavoro che le Procure per minori affrontano ogni giorno nel silenzio: “Dopo la pandemia – spiega Filoni – il disagio tra i ragazzi è aumentato in maniera esponenziale. Abbiamo a che fare con bambini che chiedono aiuto ad un passante; con studenti che troviamo con la corda al collo; con giovanissime cocainomani che partoriscono e abbandonano il figlio. Non racconto solitamente queste storie perché non voglio speculare sulla pelle dei minori, non voglio che si crei un effetto di emulazione”.

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