La questione del salario minimo a 9 euro non è solo una questione accademica. Ogni giorno, quando varco la soglia del grande complesso universitario nel quale lavoro, incontro i responsabili della sicurezza in divisa verde che mi salutano con un sorriso. Spesso penso a come si faccia ad essere così di buon umore guadagnando una paga oraria ben al di sotto dei famosi 9 euro lordi, per un salario mensile netto di 1000 euro o giù di lì. Svolgono un lavoro importante eppure sono così sottopagati. In generale sono assunti da cooperative che si portano a casa la fetta più grossa dei proventi dell’appalto. Questa è la gig economy, l’economia predatoria dei servizi, vero cancro del nuovo capitalismo post-industriale.
Sulla questione del salario minimo la premier Meloni si sta giocando una buona parte della sua residua credibilità. È partita in primavera sostenendo che il salario minimo avrebbe ridotto i salari attuali. Affermazione palesemente fasulla perché questa tutela esiste in molti paesi a capitalismo avanzato. Il lavoro non è una merce come le altre per cui tutti acquistiamo al prezzo più basso, come se si trattasse di verdura o di mobili. Poi, forse consigliata diversamente, ha sposato la tesi che in fondo i lavoratori schiavizzati dalle varie cooperative sono un numero irrisorio. Qui ha messo all’opera anche l’Inps che quest’anno nel suo rapporto annuale ha realizzato uno speciale focus sui lavoratori poveri, giungendo alla conclusione che sarebbero appena 25.000. Conto clamorosamente fasullo perché basato su un singolo valore mensile e smentito da molte altre fonti ufficiali, a cominciare dell’Istat. Questa confusione nei dati è creata ad arte per portare acqua, ormai abbastanza inquinata, al mulino del governo.
Poi finalmente Meloni ha potuto contare su un parere ufficiale, quello del Cnel. Quest’organo costituzionale, il parlamentino delle professioni e delle imprese, ha bocciato la norma sul salario minimo, con l’eccezione della Cgil e della Uil, mentre la Cisl è per vocazione filo-governativa. Parere ampiamente scontato, data la sua composizione, anche senza l’attivismo del prof. Brunetta. E qui si apre una questione interessante, tipica del populismo economico. Infatti il leader populista decide di ascoltare gli esperti, e anzi, applaude clamorosamente, solo quando sono in linea con la sua ideologia, altrimenti li ignora o li attacca anche in maniera scomposta nel tentativo, spesso goffo, di delegittimarli.
Non risulta infatti che per altri importanti provvedimenti economici sia stato chiesto ufficialmente un parere al Cnel. Per esempio, una sua valutazione sarebbe stata molto opportuna sulla legge delega del fisco. Ma il governo non ha sentito il bisogno di un parere formale, nonostante la rilevanza economica del tema. E neppure risulta che il Cnel sia stato audito, sempre ufficialmente, nel caso della legge sull’equo compenso per i professionisti. Anche in questo caso il parlamentino delle professioni avrebbe potuto dare un parere interessante. Probabilmente, in questi due casi il governo temeva di aprire una discussione scomoda e quindi ha preferito evitare l’organo consultivo perché non sicuro del risultato. Invece, nel caso del salario minimo, la premier ha manifestato una inusuale prudenza chiedendo un parere preliminare perché sicura del risultato grazie all’attivismo del suo presidente in un maldestro, e quasi ridicolo, gioco di sponda sulla pelle di milioni di lavoratori.
Lasciando perdere gli aspetti economici ampiamente noti, la foglia di fico che la premier ha cercato e ottenuto con il parere del Cnel che cosa ci dice? Fondamentalmente che la destra sociale ha perso il suo Dna ed è stata sostanzialmente berlusconizzata, cioè messa al servizio degli interessi delle imprese, tra l’altro quelle più scalcinate ed inefficienti. Difendendo lo schiavismo retributivo da parte di imprese dei servizi senza scrupoli, ma con contratti regolarmente sottoscritti da fantomatiche sigle sindacali, la premier ha abbandonato uno dei cavalli di battaglia della destra sociale, la tutela di chi non ha potere contrattuale. Non solo li ha abbandonati, ma è andata in soccorso in varie occasioni di chi non ne aveva bisogno. Una destra feroce quindi, forte con i deboli ma debole con i forti secondo uno schema consueto. Un doppio registro cinico e ingiusto. Brunetta ha definito anime belle coloro che hanno proposto questa norma, ma non si è ugualmente scandalizzato quando la politica è scesa in campo per tutelare, con la legge sull’equo compenso, il reddito dei grandi professionisti oppure per garantire anomali privilegi fiscali ai lavoratori autonomi dai redditi elevati.
Il Presidente del Cnel ha chiesto provocatoriamente al giornalista cosa potrebbe fare un’impresa se non è in grado di pagare i 9 euro. La stessa domanda si può rivoltare e si può chiedere al prof. Brunetta come può campare un lavoratore con uno stipendio di 900 euro. Il capitalismo ha bisogno di regole, anche quello straccione di Brunetta a cui va bene pagare un lavoratore anche pochi euro lordi per salvare imprese che non dovrebbero neanche esistere. Mi viene in mente che la mia prima paga, quando da ragazzino a settembre andavo a vendemmiare, rigorosamente in nero, è stata di 250 lire, che attualizzate sarebbero circa 3 euro. La paga che farebbe contento il prof. Brunetta, appunto, e il suo capitalismo predatorio e immorale.
Questa destra nostrana vive in un modo capovolto e malato: fa la flat tax per i redditi elevati che nessuno al mondo ha, e nega il salario minimo per legge ai lavoratori poveri che molti hanno – parlando dei paesi ricchi, naturalmente.