Vittorio Sgarbi divenne famoso verso la fine degli anni Ottanta del secolo scorso grazie al “Maurizio Costanzo Show”, trasmissione in cui fece la sua apparizione insultando sonoramente una professoressa che declamava le proprie poesie, obiettivamente bruttine. Suscitare l’ilarità del pubblico fu semplice per l’allora giovane “sgarbato” dal ciuffo compulsivo, di fronte a una donna impettita, permalosa e sapientemente mandata al massacro da quel genio anche del male televisivo che è stato Maurizio Costanzo (e ancora si sarebbe dovuta apprezzare la futura moglie Maria De Filippi).

In quel preciso momento, in cui il giovane critico d’arte vomitava tutto il proprio disprezzo sulla poetessa mancata, avveniva un piccolo passaggio epocale. Non soltanto per il microcosmo comunque non trascurabile della televisione e dei media in genere, ma anche per la cultura di un intero paese.

Se fino a quel momento il cattivo, lo sguaiato, il volgare e chi più ne ha più ne metta, era timidamente ammesso comunque all’interno della finzione scenica (pensiamo agli sketch di Paolo Villaggio, o alla conduzione televisiva di Gianfranco Funari), ora veniva sdoganato l’insultatore reale. Una formula che si è rivelata vincente, in tutt’altro ambito e senza voler istituire paragoni impropri, con Roberto Burioni, ormai medico e virologo di fama ma il cui personaggio nacque grazie alla sua abilità di “blastare” (letteralmente far saltare in aria, quindi dileggiare, umiliare, polverizzare) le persone che intervenivano sulla sua pagina social a proposito dei vaccini.

Il fatto è che Sgarbi piacque molto a larga parte del popolo italiano. Quell’intellettuale dalla lingua forbita e rapidissima, fascinò il pubblico maschile e in larga parte femminile non tanto alla maniera di un Gabriele D’Annunzio (a cui pur diceva di ispirarsi lo stesso Sgarbi), ma di un vero e proprio Benito Mussolini. Virile, spregiudicato e carismatico, ma anche maschilista, venduto al potente di turno (a quei tempi Berlusconi) e sofista nel senso di difendere con la dialettica e l’insulto qualunque posizione, purché il titolare della suddetta fosse disposto a oleare i meccanismi sgarbati della parlantina sgarbiana.

Insomma, pur con dei vestiti godibili di sapere, ironia e dialettica sopraffina – che nessuno può contestargli – Sgarbi imponeva però il corpo (quindi la sostanza) di un personaggio incapace di rispettare l’opinione difforme dalla sua, nichilista e spregiudicato al punto di farsi abile avvocato delle cause per le quali veniva profumatamente pagato. Si potrebbe ricorrere a un detto tedesco per riassumere questo tipo di personaggio, che tradotto in italiano suona più o meno così: “pregare verso l’alto e scalciare verso il basso”. Del resto, l’ossequio ai potenti, idolatrati fino a che sono tali, è tipico del costume italico almeno quanto l’atteggiamento di disprezzo riservato a chi potente non è.

Ciò è vero al punto che al non potente di turno – e lo abbiamo visto anche in tempi recenti con il sopraggiungere di una “nuova” classe politica – non pare perlopiù vero di entrare nel gotha degli influenti per poter elargire disprezzo e altezzosità verso chi rimane in basso.

Che quella svolta “culturale” rappresentata da caso Sgarbi si sia diffusa a macchia d’olio nel corso di decenni, credo sia sotto gli occhi di tutti. Basta guardare il livello di arroganza, spregiudicatezza, menzogne di comodo e quant’altro messi in atto da una classe politica mediamente incapace e irrilevante. Ora, se le accuse più recenti fossero confermate, oltre a quanto già detto bisognerebbe prendere atto anche dell’illegalità ripetutamente messa in atto da Sgarbi, non a caso uomo di “cultura” ma anche sottosegretario nell’attuale governo. Dal cialtronismo e dalla volgarità televisiva, alla spregiudicatezza e delinquenza nella politica il passo è stato breve. Non certo per il solo Sgarbi, ma per un intero paese che, quando non ha potuto seguirne le gesta – perché sono pochi quelli che assurgono a fama e potere – ne ha comunque appoggiato l’operato a suon di risate, applausi e consenso.

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