Non si ferma la cementificazione in Italia, come dimostra il recente rapporto Ispra, e non si ferma neppure in zone alluvionate. In Romagna nuove lottizzazioni sono in via di approvazione, da Ravenna a Castel Bolognese (Biancanigo), a Faenza proprio vicino al fiume. Nonostante il fiume Lamone ci abbia mostrato dove non dobbiamo costruire, noi costruiamo laddove l’acqua è già arrivata e ha sommerso i campi. Non riusciamo a garantire la sicurezza delle case già esistenti e permettiamo di costruirne di nuove? Gli amministratori piangono e chiedono allo Stato fondi, ma al contempo approvano nuove lottizzazioni. Chi pagherà i danni per le prossime alluvioni alle villette appena costruite, i palazzinari o lo stato?
Dopo l’alluvione speravamo che i palazzinari avessero appreso la lezione, invece con una piccola variazione del progetto, rinunciando ai seminterrati e rialzando il piano di campagna, pensano di sfuggire alla furia del fiume. Qui le due aziende proponenti, la Coabi e la Tua Casa, con l’approvazione della Giunta, vogliono costruire villette uni o bifamiliari, con possibilità di edificazione ulteriore. Prima dicono che non lo fanno per profitto ma per scopi sociali, poi chiedono di pagare meno oneri urbanistici destinati all’edilizia popolare perché il progetto si è svalutato con l’alluvione. Dicono che “economicamente il progetto non ha senso”… ma continuano imperterriti a chiedere di costruire in zona alluvionata. Perché quindi lo fanno, per ispirazione divina?
La Giunta di Faenza ha approvato l’accordo operativo, come se nulla fosse. Come se Faenza non fosse già finita sotto i riflettori di tutta Italia, con le sue cementificazioni azzardate in zone alluvionabili. Presa Diretta a settembre 2023 intervistava esponenti di Legambiente Lamone davanti l’orto della Ghilana minacciato dal cemento, come esempio negativo di gestione del suolo (puntata “Stato di Calamità Permanente” al minuto 1.11.26). Saranno abbattuti tutti i 19 pini adulti e sani, chiamando questo scempio ipocritamente “riqualificazione delle alberature” e mistificando con un patetico green-social washing la realtà.
Cementificare il suolo, costruire in zone alluvionate, abbattere alberi non corrisponde a nessun interesse pubblico. A Faenza come altrove il suolo viene considerato un bancomat, dobbiamo invece metterci in testa che il suolo è un bene pubblico, ricco di biodiversità, da tutelare e preservare, è spugna di acqua e di CO2, così gli alberi che ci aiutano a sopravvivere agli effetti del riscaldamento globale.
Ma qui, oltre al danno c’è la beffa. Non essendoci spazio per una vasca di laminazione, che tenga al sicuro le nuove villette, “la laminazione sarà assolta con il sovradimensionamento della fognatura acque bianche della strada e del parcheggio pubblico”. In pratica un sovraccarico di acqua finirà nella fognatura principale senza poter essere assorbita dal terreno, causando un aumento del rischio per tutti.
Questo campo durante l’alluvione è servito come perfetto bacino di laminazione naturale, essendo più basso del piano stradale di almeno un metro e mezzo, riempiendosi totalmente e pian piano assorbendo l’acqua. La cementificazione e il rialzamento di questo campo, come previsto dal progetto, aumenteranno il pericolo per il resto del quartiere. È un po‘ come riempire una grande buca, cementificarla e poi aprire i rubinetti. Dove pensate che finirà l’acqua?
Nessuno sa quali eventi estremi succederanno nel prossimo futuro. Con la crisi climatica in atto, i tempi di ritorno delle alluvioni e la stessa intensità sono imprevedibili e nessun argine può dirsi sicuro. Quante cose alternative alla speculazione edilizia si potrebbero fare? Orti sociali, un museo storico botanico all’aperto per tutta la città, che attiri turisti e scolaresche. Sicuramente con minori costi per i proponenti, zero impatto e tanti benefici ecosistemici per la comunità, anche con prospettive lavorative. Quando impareremo la lezione della natura e smetteremo di costruire vicino ai fiumi?